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Recensione Beyond: Due Anime

Incapacità di adattarsi agli schemi; questa è forse la peculiare caratteristica di ogni produzione Quantic Dreams. Uniformarsi dev'essere la cosa che necessariamente riesce meno al team francese poiché non vi è mai una loro opera che riesca ad essere definita correttamente dentro un solo genere. Ibridi. Tentativi, potremmo chiamarli. Eppure, ogni volta, in grado di spaccare a metà critica e pubblico. 
Pionieri delle "storie a bivio" interattive di questa Gen (chi si ricorda le stupende storie sul Topolino degli anni '90?). Innesti, potremmo definirle, tra i libri game di un tempo che si riallacciano alle teorie del multi-verso, troppo spesso colonna portante di molte Visual-Novel. Dopo averci intrigato con un giallo fai-da-teDavid Cage ha deciso di veicolare con Beyond: Due Anime, la sua particolare (e anche un po' arrogante) visione dell'aldilà.

di: Manuel "haures" Di Gregorio

Incapacità di adattarsi agli schemi; questa è forse la peculiare caratteristica di ogni produzione Quantic Dreams. Uniformarsi dev’essere la cosa che necessariamente riesce meno al team francese poiché non vi è mai una loro opera che riesca ad essere definita correttamente dentro un solo genere. Ibridi. Tentativi, potremmo chiamarli. Eppure, ogni volta, in grado di spaccare a metà critica e pubblico. 
Pionieri delle “storie a bivio” interattive di questa Gen (chi si ricorda le stupende storie sul Topolino degli anni ’90?). Innesti, potremmo definirle, tra i libri game di un tempo che si riallacciano alle teorie del multi-verso, troppo spesso colonna portante di molte Visual-Novel. Dopo averci intrigato con un giallo fai-da-teDavid Cage ha deciso di veicolare con Beyond: Due Anime, la sua particolare (e anche un po’ arrogante) visione dell’aldilà.

Un’ipotesi non troppo remota, la sua, di cosa potrebbe esserci. Una spiegazione, quasi razionale, a fenomeni paranormali a cui sempre meno crediamo. Prendete una storia strappa-lacrime (o che almeno ci prova), un cattivo(?) poco presente e condite il tutto con anni di ricerca e sviluppo sul rendering dei volti, spendendo soldi su soldi per royalties di personaggi famosi, tecnologia per riversare l’acting process direttamente in digitale ma lasciando al caso qualche sbavatura sull’obiettivo prefissato.
Avete creato Beyond: Due Anime la versione 2.0 di Heavy Rain ma non per questo esente da bug.

Verso l’infinito, e oltre!

La trama di Beyond: Due Anime è complessa e semplice al contempo. Nonostante le 2000 pagine di script riassumenti le dinamiche relazionali, i dialoghi e l’ambientazioni dell’intera opera, non dovremo far altro che (ri)vivere, in terza persona, alcune delle tappe che costellano 15 anni di vita della piccola Jodie Holmes, interpretata da Ellen Page. La sua (s)fortuna è rappresentata dal dover condividere l’esistenza con Aiden, un’entità o spirito che dir si voglia, del quale non si conosce assolutamente niente a parte la sua capacità di manipolare oggetti e persone. Grazie alla sua “presenza”, e studiando la relazione che lega i due protagonisti, lo scienziato Nathan Dawkin ha così teorizzato e scoperto l’esistenza di un mondo “oltre” quello terreno, in cui le anime dei morti risiedono: l’inframondo. Jodie diventa così una pedina importante nelle mani del governo statunitense che non perde tempo e risorse per sfruttare la ragazza a fini militari, senza però tener conto che la forza generata da Aiden possa mutare in una pericolosa arma al servizio della ragazza.
Come in tutte le opere di Quantic Dream, la storia non è altro che il piatto su cui viene servita la portata principale del gioco: un’esperienza narrativa ibrida tra cinema egameplay. Grazie alla tecnologia di Full Performace Capture, ogni scena di Beyond: Due Anime è stata recitata con pathos da Ellen Page (Jodie), Willem Defoe (Nathan),Eric Winter (Ryan) e tutto il resto del cast; per poi essere immediatamente riversata in digitale.
Ci troviamo così di fronte al primo esperimento meta-narrativo nel mondo dei videogame, e che prepotentemente espande la sua supremazia sulle altre tecniche. Prima ancora di essere create digitalmente le emozioni vengono vissute e, successivamente, fatte rivivere dalle azioni del giocatore.
Non è tutto oro quel che luccica però, la storia principale ha infatti un grosso problema: crea un ottimo livello empatico tra giocatore e personaggio nelle situazioni più drammatiche ma che non sa svilupparsi continuamente lungo tutto l’arco temporale della vita di Jodie. La colpa si potrebbe attribuire alla frammentazione della narrazione in episodi, i quali non vengono affrontati in ordine cronologico durante il play-through. La scelta si rivela controproducente poiché l’artifizio artistico impedisce di “vivere” una storia calandosi pienamente nell’evoluzione del personaggio di Jodie, saltando invece da un momento all’altro da adolescente a bambina, poi ad adulta, per tornare ancora bambini, e così via dicendo… e ristabilendo la linea temporale solo nelle fasi finali.
L’unico grande pregio di Beyond: Due Anime è proprio quello di essere recitato come una produzione Holliwoodiana, facendo impallidire molti Blockbuster in circolazione. Le vicende narrate inoltre, non sono sempre funzionali alla trama orizzontale; spesso raccontano avvenimenti brevi, utili solo ad approfondire le dinamiche di amore-odio traJodie e Aiden, ed importanti quanto gli episodi filler in una serie TV.

Un gioco s’adda à giocà!

Le critiche mosse alla precedente produzione di Cage erano piuttosto chiare: se fai un gioco devi giocarlo, non basta guardarlo. D’altro canto, quando crei un’opera la cuiraison d’être si basa sulla narrazione della storia, ogni eventuale forma di gameplay aggiunta rischia di distrarre il giocatore dal suo fine. A tal proposito, iBeyond si è fatto di meglio e di peggio rispetto ad Heavy Rain.
Se il Full Performance Capture e l’iper-realismo riversato nella riproduzione poligonale degli attori, concorrono a dare un senso di realtà non-più-tanto virtuale, lo stesso non si può dire degli stacchi che intercorrono tra l’azione eseguita e le varie animazioni. Sebbene la stessa Ellen Page abbia confermato che ogni movimento (come l’apertura di una porta, l’afferrare un oggetto, simulare una corsa etc…) sia stato replicato un’infinità di volte, al fine di “riproporlo esattamente come si svolgerebbe nella vita reale”, è stata la fluidità e la continuità dell’azione a farne le spese. Un pallino bianco apparirà sullo schermo in corrispondenza di oggetti o situazioni interagibili, relazionandoci con esso mediante movimento della levetta destra. Saltuariamente verremo chiamati a sfruttare il sixaxis o, a premere sequenze di tasti stile QTE, mimando occasionalmente il movimento reale.
È proprio questo “occasionalmente” che stupra il gioco del suo effettivo realismo. In Heavy Rain, ogni azione veniva mimata dal movimento degli analogici o del pad(l’apertura di una porta, il taglio di un dito, colpire una persona con un pugno) e cosa ancor più importante, la velocità con cui si effettuava un’azione sui tasti veniva adattava anche nel videogame, replicandosi con la stessa velocità. Beyond: Due Anime elimina tutto ciò, riducendo un concatenarsi di azioni ad una mera pressione di tasti, senza legare tra loro due momenti con un animazione fluida.
Il risultato è quello di andare avanti per azioni meccaniche e non ponderatamente intraprese.

Per attenuare la mole di critiche avanzate, Cage è riuscito a mitigare gli animi inserendo sequenze di combattimento armato, corpo a corpo e di guida; tutto scriptatoovviamente e gestito anche qui da QTE piuttosto sommari, sebbene riesca così a conferire una parvenza di gameplay al titolo.
Un altra punta di diamente delle produzioni Quantic Dream è la possibilità di giungere a diversi finali in base alle scelte effettuate lungo l’avanzare della storia. Questa particolare feature si è amalgamata molto bene nei precedenti titoli, poiché in grado di invogliare il giocatore al post-game ed elevando la rigiocabilità dei capitoli.
Anche Beyond svolge egregiamente il compito ma non senza una nota stonante; se in passato il bivio narrativo, imposto dal momento della scelta, risultava piuttosto evidente (e già presagiva al giocatore dove ricominciare la partita per assicurarsi un diverso finale/capitolo) lo stesso non avviene nella storia di Jodie in cui spesso le azioni apportano cambiamenti minimi o comunque si staccano momentaneamente dal filone principale per riagganciarvisi dopo poche scene. Siamo quindi ben lontani dall’impostazione a “molteplici capitoli” di Heavy Rain in cui lunghe sessioni di gameplay venivano omesse per via di una scelta sbagliata. Tutto è molto più story-driven di quanto fossimo abituati e la maggior parte delle conseguenze può essere sperimentata solo nelle battute finali del gioco dove più frequentemente l’avventura si sdoppia.
Sul comparto sonoro chiudiamo letteralmente la nostra boccaccia e apriamo bene le orecchie. Le ultime opere del compositore Norman Corbeil (morto a gennaio 2013 dopo aver ultimato le registrazioni) rappresentano il terzo apice delle produzioni Quantic Dream. Il tema portante è capace veramente di emozionare, mentre la tensione che si sviluppa col crescere delle musiche durante i cliffhanger di gioco, rende la colonna sonora di Beyond un’esperienza avvolgente e in perfetta sinestesia con i sentimenti suscitati dagli avvenimenti..

La morte è davvero l’unica cosa certa?

La storia di Beyond: Due Anime ci ha appassionato, ci ha sicuramente avvicinato a Jodie ma non è riuscita ad immergerci, come ci aspettavamo, a livello empatico con la protagonista. La frammentazione degli avvenimenti non aiuta a creare continuità mentre alcuni episodi come quello di Navajo, lodevoli nel voler esplorare significati non solo a livello scientifico bensì anche spirituale, cozzano con la trama principale come Oopart (oggetti che non appartengono al nostro tempo ma esistono comunque).
Senza paragonarlo direttamente col suo predecessore, Beyond: Due Anime è un’ottima produzione, simbolo di un mercato video-ludico che evolve e sperimenta; e poiché sperimentare è un bene, diventa necessario in un contesto di continua miglioria dei vari generi di gioco. Come tale però, non rispetta pienamente le aspettative create e semplifica troppo aspetti di gameplay se maggiormente curati, avrebbero potuto conferirgli maggior tono.
Da plauso, infine, la bravura degli attori (sopratutto la recitazione in lingua originale) nel veicolare con le espressioni, le emozioni che lo script di David Cage non trasmette a sufficienza, anche a causa di dialoghi poco memorabili.
Buon lavoro ma, provaci ancora Cage!