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Giorgia Cosplay

Giorgia Cosplay è una ragazza nata e cresciuta nel Veronese, coltivando un'insana passione per fumetti e cartoni animati, tanto che è facile trovare in giro una mia foto in cui già a due anni mi dilettavo a “far cosplay” nei panni di Heidi.
Il mio ingresso ufficiale nel mondo del cosplay è stato il 21 di marzo del 1997 all'edizione primaverile di Lucca Comics & Games, che all'epoca si teneva due volte all'anno.
Era da un po' che mi gingillavo con un'idea simile, dopo aver visto i ragazzi dello STIC (Star Trek Italian Club) vestiti come i loro beniamini e gli appassionati di gioco di ruolo dal vivo mascherarsi di tutto punto per una sessione di gioco, mi ero detta che se loro potevano farlo con i loro personaggi preferiti, allora io potevo faro con i miei.
Decisi allora di realizzare il costume di Sailormars che avrebbe segnato il mio debutto in questo mondo.
In quel'edizione di Lucca ci saranno state al massimo una decina di persone in costume e all'epoca non sapevo nemmeno di star facendo cosplay: i miei amici e io lo chiamavamo “metterci i costumi” o “vestirci” ed è stato solo con l'avvento di internet per le masse che abbiamo imparato che quest'hobby aveva un nome, era codificato e diffuso in varie parti del mondo.

di: Chris "matetrial" Calviello

1. Avrai fatto tantissime interviste e come sai la maggior parte di queste cominciano con una classica domanda. Chi è Giorgia Cosplay? Come ha conosciuto il mondo del cosplay e con quale personaggio ci si è introdotto?

Giorgia Cosplay è una ragazza nata e cresciuta nel Veronese, coltivando un’insana passione per fumetti e cartoni animati, tanto che è facile trovare in giro una mia foto in cui già a due anni mi dilettavo a “far cosplay” nei panni di Heidi.
Il mio ingresso ufficiale nel mondo del cosplay è stato il 21 di marzo del 1997 all’edizione primaverile di Lucca Comics & Games, che all’epoca si teneva due volte all’anno.
Era da un po’ che mi gingillavo con un’idea simile, dopo aver visto i ragazzi dello STIC (Star Trek Italian Club) vestiti come i loro beniamini e gli appassionati di gioco di ruolo dal vivo mascherarsi di tutto punto per una sessione di gioco, mi ero detta che se loro potevano farlo con i loro personaggi preferiti, allora io potevo faro con i miei.
Decisi allora di realizzare il costume di Sailormars che avrebbe segnato il mio debutto in questo mondo.
In quel’edizione di Lucca ci saranno state al massimo una decina di persone in costume e all’epoca non sapevo nemmeno di star facendo cosplay: i miei amici e io lo chiamavamo “metterci i costumi” o “vestirci” ed è stato solo con l’avvento di internet per le masse che abbiamo imparato che quest’hobby aveva un nome, era codificato e diffuso in varie parti del mondo.

2. Si può dire che il cosplay è stato il trampolino di lancio del tuo successo? Quali porte ti ha aperto?

In realtà che il cosplay possa aprire chissà quali porte è un grosso fraintendimento che porta soprattutto le giovani leve ad aspettarsi chissà cosa e a rimanere inevitabilmente deluse. Al limite il cosplay offre una certa vsibilità, ma per raggiungere il successo, se così vogliamo chiamarlo, non basta indossare costumi, per quanto belli, ma bisogna sapersi far valere in altri campi artistici come canto, ballo, presentazione, attitudine al modeling o qualunque altro campo artistico vi possa venire in mente. Per me la grossa spinta è arrivata dopo la vittoria al World Cosplay Summit, complice anche il fatto che negli otto anni precedenti non si può dire che il cosplay fosse “quasi mainstream” come è adesso, e quindi otteneva molta meno attenzione. Se escludiamo una telefonata dell’ANSA subito dopo la vittoria in Giappone (che poi avrebbe messo in moto il resto), la prima a contattarmi è stata Domino, la cantante famosa in Giappone per i suoi pezzi Eurobeat, che dopo aver visto su La Stampa un pezzo sulla mia vittoria, mi ha proposto di cantare delle canzoni scritte da lei e che poi sono state effettivamente pubblicate in Giappone.
Domino e Leiji Matsumoto (conosciuto durante la finale di Nagoya) sono stati i primi personaggi famosi che il cosplay mi ha permesso di incontrare. Da lì in poi ho continuato a lavorare per far conoscere questo mondo, comunicando la mia passione per quest’hobby con i miei costumi, il mio sito, il mio forum e addirittura un libro fotografico, presentando gare, tra una comparsata TV e l’altra, anche tra mille polemiche di chi “inspiegabilmente” avrebbe probabilmente preferito che il cosplay restasse celato al grosso pubblico.
Posso dire che se oggi il termine cosplay è abbastanza conosciuto anche tra la gente comune e se TV e radio invitano cosplayer nelle loro trasmissioni, un po’ è anche merito mio e di chi come me ha sempre portato avanti questa passione anche quando era semisconosciuta.

3. Hai avuto modo di partecipare e vincere al World Cosplay Summit nel 2005. Oltre al Giappone tuttavia hai potuto calcare i palchi di vari altri paesi. Com’è visto il cosplay in Italia a differenza del resto del mondo? Siamo ancora lontani anni luce da come la pensano nel Sol Levante?

Purtroppo devo dire che l’idea che all’estero il cosplay sia tutto rose e fiori, al contrario nel mondo avvelenato dalle polemiche che abbiamo qui da noi, è molto romantica, ma anche molto ingenua ed errata. Questo per dire che difficilmente all’estero il cosplay è visto e vissuto molto diversamente che da noi. Probabilmente l’unico Paese in cui l’idea di cosplay è diversa è il Giappone.
E non sempre si tratta di una buona cosa, perché lo stigma verso chi fa cosplay o verso gli otaku in genere magari è sottile, ma esiste, tanto che i cosplayer sono “ghettizzati” persino durante gli eventi come Comiket e Wonder Festival in cui sembrano a tutti gli effetti degli ospiti mal graditi. Senza contare che spesso la parola cosplay campeggia nelle insegne di sex shop e che molti Giapponesi le idee di cosplay e maid cafè vanno a braccetto.
Tra i cosplayer giapponesi non ho visto emergere tante polemiche, forse per problemi di lingua o forse perché non ci sono le gare (a cui sono personalmente favorevole, perché secondo me stimolano la competizione), ma il divismo èimperante tanto che le “api regine” a volte sono così stereotipate da sembrare uscite da uno shtiojo manga.
Inoltre durante gli eventi l’interazione tra i cosplayer e chi li vuole fotografare è fredda e ridotta alla richiesta di foto, generalmente direttamente proporzionale alla quantità di pelle scoperta e alla possibilità di realizzare upskirt o foto del canaletto.
Il tutto, devo dire, è abbastanza triste e sono contenta di aver portato in quelle occasioni una ventata di sana esuberanza nostrana quando ho permesso al pubblico di farsi le foto in mia compagnia. L’espressione stupita sui loro volti del tipo “ma davvero si può?” è stata impagabile e sono sicura che abbiano gradito.

4. La fama porta con sé un sacco di invidie e gelosie, lo saprai benissimo. Al di là di questo, non credi che in generale invidia e gelosia siano due carogne costanti del fare cosplay? Cosa ne pensi riguardo alle competizioni, non intendo del calibro del World Cosplay Summit, ma di fiere più blasonate? Possono snaturare il vero concetto di cosplay che ci porta a scappare dalla realtà inseguendo divertimento, passione e il proprio personaggio preferito?

Non gareggio dal 2005, perché dopo aver vinto in Giappone mi sembrava di aver avuto il massimo e di non poter chiedere niente di più alle gare; e inoltre volevo lasciare spazio agli altri, affinché potessero anche loro avere la possibilitàdi fare la mia stessa esperienza. Ma come ho detto prima, sono favorevole alle competizioni perché secondo me stimolano le persone a migliorarsi.
Detto questo, la cosa bella di quest’hobby è che non ci sono regole, per cui se uno non vuole gareggiare, è fortunatamente libero di non farlo. Non credo però che gareggiare sminuisca in alcun modo la possibilità di divertirsi o di “fuggire dalla realtà” diventando per un giorno il proprio personaggio preferito.
Il problema semmai sono le persone che prendono le gare nel modo sbagliato, arrivando addirittura a rovinarsi la salute nell’ansia della gara o nella rabbia del giorno dopo (solitamente perché non hanno vinto).
Nel corso degli anni ho sentito innumerevoli volte la frase “vincono sempre gli stessi” e credo che non sia un caso se le persone che lo ripetono sono puntualmente le stesse che avvelenano l’ambiente con continue polemiche e che dopo un po’ spariscono nel nulla, mentre quelli che sono da anni nel cosplay sono gli stessi che hanno sempre e solo badato a fare i loro costumi, limitandosi a migliorarsi se non vincevano.

5. Realizzare un costume è un’operazione che richiede tempo ma anche soldi. E’ sì una pratica che improvvisa un po’ tutti sarti e cucitori, tuttavia alle volte reperire le stoffe e i vari materiali richiede una consistente somma di denaro. Un po’ come tutte le passioni insomma. Qual è stato il vestito che ti ha portato via più tempo? E più denaro? Hai rinunciato a qualcosa come un’uscita in un locale il sabato sera pur di avere soldi da investire nel cosplay?

In realtà spesso rimango basita di fronte a realizzazioni eccelse fatte con materiali di scarto e pochi pochi spiccioli di spesa. Ricorderò sempre una coppia di Predator di una Lucca che avevano realizzato il costume partendo da secchi di plastica gettati in un cantiere. Si tratta insomma di una questione di inventiva e abilità personale, come tutte le cose. Detto questo, è chiaro che oltre un certo limite non si può andare e che se uno vuole la qualità per una certa parrucca, o stoffa o lenti a contatto, deve spendere qualche soldo. Credo che il costume che mi ha preso più tempo sia Flora versione Believix dalle WinX, in particolare per la necessità di riuscire ad applicare tutte quelle gemme sulle ali mantenendone il bilanciamento. Il costume più costoso è probabilmente quello di Alcyone da Magic Knight Rayearth (da noi Una porta socchiusa ai confini del sole), che oltre a un numero esagerato di costosissime gemme e uno scettro, ha una parte sartoriale e una parte di armatura che non sono state proprio economiche.

6. Giorgia e i videogiochi: raccontaci che rapporto hai con i retrogame piuttosto che con la next gen.

Retrogaming è il mio mantra.
Potrei giocare a Wonder Boy per ore, mentre per quanto riguarda le console più moderne, le mie attività preferite sono relative alle mie altre passioni, come il canto.
Infatti trovo molto divertente Singstar e sono molto felice che sia passato al modello Free To Play.
Non si tratta di un gioco che fa grossa leva sulla veste grafica, quindi non mi aspetto molto dall’arrivo di Playstation 4 e Xbox One, ma in generale cerco di tenermi aggiornata in modo da poter condurre Game Club con competenza.