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Recensione Wolfenstein: Youngblood

di: Simone Cantini

Diciamolo, ci ho girato un po’ intorno a questa recensione, visto che prima di buttarmi a capofitto in queste righe ho pensato bene di divagare un po’ con Cyberpilot. In realtà l’ attesa è dovuta più al fatto che volessi finire a modino il più corposo dei nuovi titoli firmati MachineGames/Arkane Studios, piuttosto che da una non voglia di inanellare una serie di parole attorno alla figura delle figlie di Terror Billy. Infine, però, anche l’ultimo boss di Wolfenstein: Youngblood ha finalmente tirato le cuoia, non senza prima avermi fatto imprecare più del previsto, ed ecco che pure la recensione è giunta sulle pagine virtuali di Console Tribe.

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Affari di famiglia

Diciamocelo: vedere un B.J. a tratti bucolico fa un certo effetto, soprattutto se abbiamo trascorso i decenni in sua compagnia. Così come è spiazzante osservarlo crescere, assieme all’amata Anya, due figlie scapestrate come Jess e Soph. Eppure, nonostante questa apparente ed effimera anormale normalità, quando il tuo cognome è Blazkowicz è davvero difficile stare lontani dai guai. La routine quotidiana della famiglia, difatti, viene interrotta improvvisamente non appena il nostro B.J. finisce per sparire misteriosamente nel nulla nella Parigi oramai sotto il controllo nazista. Mosse da una abbondante dose di incoscienza giovanile, grazie anche all’intervento di Abby, figlia di Grace Walker, saranno proprio Jess e Soph a partire in direzione della capitale francese, dopo essersi equipaggiate con una coppia di tutte da combattimento potenziate. Ed è in Europa che faranno la conoscenza di Juju e la sua banda di ribelli, che sembrano essere gli unici in grado di fornire al duo preziose informazioni relative alla sorte del bellicoso padre. Raggiungere l’obiettivo, però, non sarà certo una passeggiata, dato che sarà necessario prima ottenere il controllo dei tre computer delle forze naziste, ovviamente nascosti all’interno di altrettante torri, disseminate in varie zone di Parigi. L’espediente, per quanto sorretto da una sceneggiatura non certo memorabile, oltre che priva di un cast di protagonisti capaci di ritagliarsi un considerevole spazio sulla scena, è servito prevalentemente ad imbastire un mondo di gioco in grado di sposarsi con la volontà cooperativa di Wolfenstein: Youngblood, elemento che rende la nuova produzione Bethesda più simile ad un game as service che non ad un episodio canonico del franchise. Prima di tirare fuori torce e forconi dall’armadio, però, ci tengo a precisare come tali similitudini siano da ritrovare unicamente nella struttura delle mappe e nel respawn continuo dei nemici, oltre che dal numero che indica il livello di potenza sempre ben visibile sopra le loro teste. Parigi è difatti suddivisa in alcuni settori, simili ai pianeti di un Destiny, in cui ci potremo aggirare liberamente in maniera simil open world, in cerca dei vari obiettivi di missione. Presente anche un hub centrale, raggiungibile in qualsiasi momento, a patto di non essere impegnati in combattimento, dove potremo rifiatare e magari accettare una delle numerose missioni secondarie. Tutto è quindi all’insegna della non linearità dell’esperienza, dato che potremo scegliere noi in prima persona quali obiettivi portare a termine di volta in volta, ovviamente a patto di avere un livello di potenza sufficiente all’approccio. Sì, perché Wolfenstein: Youngblood ha scelto di accompagnarsi ad alcuni elementi ruolistici, con l’accumulo di esperienza utile a passare di rango, punti abilità da spendere in un basilare skill tree, oltre a potenziamenti da acquistare per le nostre armi. L’ibridazione tra generi è quindi molto evidente, anche se ovviamente la parte del leone sarà occupata dalle serratissime sparatorie che, elemento inedito per la serie, sarà possibile affrontare in cooperativa.

Terror Twins

La novità maggiormente evidente di Wolfenstein: Youngblood, data la presenza di due protagoniste, è data proprio dalla sua natura collaborativa che, in qualsiasi momento, ci permetterà di ospitare o raggiungere un altro utente presente in rete. Ovviamente, se ci sentiamo più dei lupi solitari, potremo goderci il tutto anche comodamente offline, potendo contare su di un partner controllato da una intelligenza artificiale talvolta anche troppo efficiente. È palese, però, come le soddisfazioni migliori ci vengano restituite se giochiamo in compagnia, magari di un amico, così da godere delle duplici possibilità di approccio che una coppia di letali combattenti è in grado di fornirci: potremo sfruttare l’invisibilità (uno dei due perk inizialmente disponibili), per uccidere silenziosamente il comandante di zona, il tutto mentre nostra sorella si getta a capofitto nella mischia. Le opzioni sono molteplici, grazie anche ad un level design in cui è molto marcato il tocco di Arkane Studios, che è stato in grado di garantire alle mappe di gioco una spiccata verticalità. A voler essere pignoli, però, si potrebbe criticare l’uso non sempre bilanciato dello stealth, visto il gran numero di sezioni in cui è praticamente impossibile agire completamente nascosti agli occhi dei nemici. Ma in fondo parliamo di Wolfenstein, quindi è logico aspettarsi tonnellate di proiettili. E visto che mi sono ritrovato a parlare di difetti, tanto vale approfondire subito il discorso, togliendomi tutti i sassolini dalle scarpe: il problema più evidente di Wolfenstein: Youngblood, che emerge già dopo poche ore di gioco, è da riscontrare nella ripetitività delle situazioni che ci troveremo ad affrontare, a causa di un deisgn delle missioni (sia principali che secondarie) alquanto banale e scontato. E a poco servono gli obiettivi dinamici che, di tanto in tanto, compariranno nelle aree di gioco. Il secondo problema che ho riscontrato è relativo alla difficoltà altalenante dell’esperienza, che ha alternato momenti impegnativi quanto basta (a livello intermedio) ad incomprensibili picchi al limite della frustrazione: esempio lampante è lo scontro con il boss finale, inutilmente prolisso oltre che minato da un bug che, giocando in solitaria, mi ha più volte reso impossibile rianimare la compagna gestita dall’IA, portandomi ad esaurire le 3 vite che si ha in condivisione, e quindi al game over. È sempre in questa sezione che si riscontra anche una non sempre perfetta gestione dei checkpoint, dato che una volta iniziato l’ultimo combattimento, qualora ci trovassimo pesantemente sottolivellati, non potremo più abbandonare l’area, magari per cercare di grindare un po’ altrove. Si tratta di uno scivolone alquanto incomprensibile per due team esperti come MachineGames ed Arkane. Al netto di ciò, comunque, Wolfenstein: Youngblood offre un’esperienza di tutto rispetto, grazie al solito eccellente gunplay ed al convincente design dei livelli, il tutto reso ancor più intrigante dalla rinnovata modalità di approccio agli scontri. Diciamo che per essere un esperimento alquanto particolare, il punto è stato decisamente centrato, almeno strutturalmente parlando. Così come convincente è il versante puramente tecnico, forte delle solite, granitiche prestazioni (su PS4 Pro), a cui si accompagna un colpo d’occhio sempre appagante (tranne che nei sotterranei, ma son piccolezze), oltre che contraddistinto dal consueto design ucronico così dannatamente affascinante: la Parigi anni ’80 tratteggiata dai due team convince ed affascina sin dal primo incontro, contribuendo ad ampliare e rafforzare ulteriormente la lore che contraddistingue il reboot della saga. Promossa anche la longevità complessiva che, se si sceglie di ignorare le missioni secondarie e la caccia ai numerosi collezionabili, ci vedrà impegnati per una decina di ore (quasi raddoppiabili se si vuole completare il tutto al 100%). E come se non bastassero ci sono sfide giornaliere e settimanali da portare a termine, così da avere sempre sotto tiro nuove cose da fare: niente male per un titolo venduto a prezzo ultra budget. E se poi ci aggiungete 10 Euro, ecco che potrete usufruire del Buddy Pass, un’opzione che vi permetterà di giocare tutta l’esperienza con chiunque abbia scaricato la semplice versione di prova del titolo.

La strana coppia MachineGames/Arkane Studios ha confermato di avere un bel po’ di cose da dire con Wolfenstein: Youngblood, dimostrando come sia fattibile declinare in maniera inedita il celebre franchise, pur senza rinnegarne l’ossatura storica. La possibilità di giocare il tutto in cooperativa è stuzzicante e funzionale, anche se ha finito per sacrificare un po’ la visione d’insieme della progressione, adesso meno serrata ed a fuoco che in passato. Peccato anche per un tasso di sfida un po’ altalenante, reso a tratti più snervante da una disposizione dei checkpoint rivedibile, ma che non riesce comunque ad intaccare più di troppo un’esperienza che fa del gunplay e del level design le proprie punte, scintillanti, di diamante. Diciamo che per 29,99 Euro (10 in più per la Deluxe Edition con il Buddy Pass), si può essere decisamente soddisfatti di come questo esperimento sia giunto alla sua conclusione, pur al netto dei due scivoloni appena citati. A questo punto non resta che vedere se e come le intuizioni di Wolfenstein: Youngblood potranno avere un futuro nell’epopea della famiglia Blazkowicz.