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Recensione Wolfenstein II: The New Colossus

di: Simone Cantini

Bethesda ci fa incazzare, magari perché rilascia il suo GDR tanto atteso così infarcito di bug da renderlo ingiocabile. Solo che poi ti basta guardare le produzioni che si è concessa il lusso di rilasciare nel corso di questo 2017 per chiudere entrambi gli occhi, aprire il borsello e mandare allegramente a quel paese le polemiche legate allo scarso appeal (e relativa remuneratività) delle produzioni single player. Sì, perché Prey e The Evil Within 2 sono reali e pronti a dimostrare come ci si possa ancora ampiamente divertire senza ridondanti appuntamenti multiplayer, microtransazioni succhia soldi e universi persistenti. E giusto per ribadire il concetto ecco che piomba sul mercato anche il nostro amico Terror Billy, pronto a prendere ancora una volta a fucilate in faccia i nazisti in Wolfenstein II: The New Colossus.

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Duro a morire

C’è ancora un piccolo barlume di speranza per il mondo, una piccola scintilla nata da una gigantesca esplosione, quella che ha segnato la definitiva scomparsa di Deathshead. Un importante tassello di quel mosaico chiamato libertà è finalmente stato messo al posto giusto, ma a quale prezzo? William J. Blazkowicz sembrava destinato a svanire nella polvere, volatile ed effimero ricordo del suo ultimo, eroico gesto, il più riuscito degli addii per il “diabolico” Terror Billy. Eppure, se tutto fosse andato davvero così, non ci ritroveremmo oggi a parlare di Wolfenstein II: The New Colossus. Sì, perché il caro texano semina morte non ha visto finire prematuramente i suoi giorni nel modo che tutti ci saremmo aspettati: sopravvissuto a stento alla deflagrazione, il nostro eroe, una volta recuperato dal gruppo di ribelli di cui è il carismatico leader, si ritrova nuovamente a combattere tra la vita e la morte. Oramai ombra di se stesso, il fisico mortalmente compromesso dalle ferite patite, William si risveglia a bordo del Martello di Eva, il sottomarino sottratto alle forze naziste che funge ora da base mobile per i sovversivi, adesso messo a ferro e fuoco dall’ennesima incursione delle forze capeggiate da Frau Engel. Deciso a non consegnare i propri amici e l’amata Anja nelle mani della spietata gerarca tedesca, William si trascina stancamente su di una sedia a rotelle, pronto a trucidare chiunque osi intralciare il suo cammino: una scena che potrebbe sembrare alquanto comica, se non fosse che il buon Billy è in grado di trasformare in un’arma letale anche il più innocuo degli oggetti. Ed è proprio grazie a questo riuscitissimo incipit, che mescola in maniera sublime intermezzi narrativi ed il solito, adrenalinico gameplay (declinato nei primi minuti in maniera decisamente originale), che Wolfenstein II: The New Colossus si dischiude in maniera prepotente sotto gli occhi del giocatore. Machine Games, difatti, si è dimostrata ancora una volta capace di maneggiare con estrema sapienza una delle IP più importanti del panorama videoludico mondiale, rimanendo fedele ai principi che l’hanno portata a reinfonderle nuova linfa vitale solo qualche anno fa.

Macchina di morte

Esplosive, dirompenti e capace di bilanciare ottimamente intermezzi narrativi di prima qualità alla consueta dose di fumante piombo, le vicende narrate in questo nuovo capitolo ci catapulteranno all’interno di una delle più riuscite e convincenti ucronie mai viste un videogioco, caratterizzata fin nei più minimi dettagli e dotata di una potenza visiva ed emotiva di primissimo livello. Ma si tratta pur sempre di una, per quanto ottima, cornice che vedrebbe ridimensionato in maniera marcata il suo spessore se non fosse accompagnata da una struttura ludica di pari valore. E anche in questo la nuova creatura del team scandinavo si è dimostrata degna erede del pesante nome che porta: Wolfenstein II: The New Colossus rappresenta, difatti, il nuovo metro di paragone per gli shooter in prima persona, degno di sedere al fianco del rinnovato Doom. Ad un gunplay solido, affiancato da una resa del feedback delle armi di assoluto valore, si va ad affiancare uno svolgimento avvincente e serrato, la perfetta rilettura in chiave moderna del modus giocandi che rese la prima e pixellosa incarnazione di Terror Billy un titolo semplicemente rivoluzionario. Machine Games riprende di peso il sistema ludico già sperimentato nei due precedenti episodi, scegliendo di non stravolgerlo e limitandosi a poche ma efficaci correzioni. Spicca su tutte la possibilità di impugnare due armi differenti allo stesso momento, di modo da poter diversificare in maniera ulteriore il nostro approccio bellico. Tornano le modifiche per le bocche da fuoco da recuperare nelle mappe di gioco, così come la possibilità di affrontare gran parte delle situazioni in maniera furtiva e i perk che sbloccheremo effettuando particolari azioni durante l’avventura. Da un certo punto in poi, inoltre, potremo mettere le mani su un trittico di potenziamenti meccanici in grado di ampliare le possibilità di approccio dei vari stage, oltre alla possibilità di accedere ad alcune stuzzicanti missioni secondarie, tramite le quali saremo chiamati a riattraversare alcune mappe di gioco con lo scopo di uccidere degli importanti gerarchi nazisti. Queste ultime vanno ad accrescere la già elevata rigiocabilità complessiva, che può contare su di una campagna corposa (si parla di circa 12 serratissime ore) che si presta ad essere rigiocata due volte, grazie alla presenza di una duplice linea narrativa che, oltre a sbloccare alcune cutscene e side queste peculiari, ci permetterà di ottenere due armi pesanti uniche. Ad aumentare abbondantemente il monte delle ore che trascorreremo a falciare orde di nazisti, ci pensa anche un corposissimo set di collezionabili che, tra documenti, bozzetti e tracce audio, riusciranno a fare la gioia dei completisti più incalliti.

Riscrivere la storia

Ma Wolfenstein II: The New Colossus, a differenza del citato Doom, non sacrifica tutte le sue carte migliori sull’altare della nuda giocabilità. No, affatto. Non contento di aver sbancato in simili frangenti, il titolo Machine Games non rinuncia a dare in pasto ai giocatori una storia dannatamente ben scritta, basata su personaggi che nonostante il loro essere volutamente macchiettistici in certi comportamenti, trasudano un’umanità ed un realismo decisamente convincente. La narrazione è cruda, a tratti davvero spietata, ma dotata di uno humor di fondo che riesce a permeare ogni sezione, anche in presenza di argomenti forti, quasi come se volesse di tanto in tanto ricordarci che, in fondo, quello che stiamo vivendo è fortunatamente solo un gioco. Questo però non ha impedito al team di creare una realtà distopica coerente ed ottimamente tratteggiata, che ha nei dialoghi che intercetteremo in alcune situazioni, nei vari documenti, ma anche solo negli elementi scenografici, dei preziosissimi strumenti utili a garantirci un livello di immedesimazione molto forte. E poi ci sono loro, i vari attori che si avvicenderanno sullo schermo, ognuno, dal comprimario più marginale agli splendidi cattivi (non lasciatevi scappare uno sceneggiatore dall’aria sin troppo familiare), in grado di reggere con disinvoltura il peso della scena e rendere le sezioni narrative un ottimo e mai banale collante tra una carneficina e l’altra.

Ad un passo dalla vetta

Tutto molto bello, fino a qua, ma allora perchè il punteggio finale si limita a rasentare le vette dell’eccellenza? In primis è impossibile non citare la totale assenza di boss battle degne di questo nome, una nota davvero stonata quando si parla di un titolo del genere, specialmente se dotato di un cast di villain di primo ordine. Non impressiona anche l’IA generale degli avversari che, pur essendo dannatamente agguerriti e letali, spesso si comportano in maniera alquanto improbabile, soprattutto quando reagiscono in maniera quasi impassibile ad assassini avvenuti a pochi centimetri dal loro naso. Da rivedere, inoltre, anche il sistema di gestione dell’inventario, non proprio comodissimo e reattivo una volta calato all’interno delle pareti di un pad. Si tratta, comunque, di elementi che una volta inseriti in questo universo distopico finiscono per svanire in una manciata di proiettili, ma sarebbe stato ingiusto non menzionarli. Pur al netto di tutto ciò, Wolfenstein II: The New Colossus rappresenta una sfida più che mai ostica, decisamente più difficile della media delle produzioni analoghe anche a livelli di difficoltà medi (6 sono quelli disponibili, più uno da sbloccare). Inappuntabile, invece, la fluidità generale, priva di sensibili scossoni in grado di disarcionarla dai 60 frame al secondo. Migliorata anche la resa grafica complessiva, grazie soprattutto all’abbandono della natura crossgenerazionale della produzione, sebbene permangano ancora alcune texture di qualità non eccelsa. Ottimo il doppiaggio in lingua italiana, con un Mario Zucca in forma strepitosa (pur al netto di qualche linea non recitata al top) ed in grado di conferire uno spessore umano ancor più marcato al nostro Blazkowicz.

Quando si tratta di Terror Billy le parole sono quanto mai superflue e sopravvalutate. In fondo a cosa serve aprire la bocca quando hai a disposizione una montagna di proiettili? E infatti non mi dilungherò oltre, ma mi limiterò a sottolineare ancora una volta come Wolfenstein II: The New Colossus si presenti più pimpante che mai all’appuntamento, forte del solito ed inappuntabile gameplay, ancora una volta condito da una sceneggiatura quanto mai solida. Peccato per alcune piccole leggerezze, sicuramente marginali nell’economia generale della produzione Machine Games, ma che impediscono comunque all’ultima avventura del Blazko di elevarsi al rango di capolavoro assoluto. Pur andandoci dannatamente vicino.