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Recensione Wolfenstein: Cyberpilot

di: Simone Cantini

Il week end appena trascorso è stato particolarmente succoso per chi, come il sottoscritto, aveva tanta fame di sparatutto veramente ignoranti. Ad un Wolfenstein: Youngblood con ancora qualche sprazzo da regalarmi (la recensione arriva a brevissimo, datemi tempo!), ho potuto accompagnare un punto di vista inedito relativo al mondo reimmaginato da MachineGames e Arkane Studios grazie a Wolfenstein: Cyberpilot, che ha segnato una sadica incursione tra le pareti del PSVR della riuscitissima distopia di casa Bethesda. Perché sadica? Beh, non vi resta che leggere il seguito di questa analisi per scoprirlo.

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Hack the system!

I fottuti nazisti sanno davvero il fatto loro in quanto a tecnologia bellica, e la dimostrazione viene proprio dalle creature meccaniche che gli anni di supremazia del Reich sono riusciti a sviluppare. Poco importa che ci sia dilettati a falciare soldati nei panni del vecchio Terror Billy o delle sue due scapestrate figlie, ma di sicuro non avremo potuto fare a meno di incrociare le nostre armi con le fauci di un letale Panzerhund, la devastante potenza di fuoco di Zitadelle, oppure con uno dei fastidiosissimi droni automatici. Di sicuro avere qualcuna di queste mostruosità al nostro fianco potrebbe rappresentare un indubbio vantaggio nella lotta per la libertà, ed adesso quindi che entriamo in scena noi, un hacker incaricato dalla resistenza di violare il software di queste macchine, al fine di pilotarle in remoto e portare la morte tra le file naziste. Ecco, quindi, che in Wolfenstein: Cyberpilot ci ritroveremo catapultati in una brevissima campagna, con 3 missioni dedicate all’utilizzo esclusivo di un determinato dispositivo, a cui si aggiunge una sortita finale in cui combineremo le varie forze, oltre a scendere personalmente in campo nell’ultimissima porzione di gioco. Il tutto, ovviamente, sarà cucito in modo decisamente impeccabile attorno alle potenzialità dell’accoppiata PSVR/Move (si può usare anche il DualShock, ma ve lo sconsiglio), ma finirà purtroppo per esaurirsi in poco meno di un’ora, almeno giocando a difficoltà standard. Certo, è possibile replicare il tutto in modalità più ostica, ma data l’assenza di qualsiasi elemento di progressione del nostro set di strumenti, oltre che a quella di ogni forma di punteggio, graduatorie e collezionabili, l’esperienza si esaurirà nella semplice sfida contro noi stessi. Vero che il titolo viene proposto a circa 20 Euro, ma era davvero lecito aspettarsi di più, vista soprattutto la bontà di quanto Wolfenstein: Cyberpilot riesce ad offrire nella sua condensatissima esperienza.

Too short to die young

Il titolo firmato MachineGames ed Arkane Studios ci presenta un gameplay semplice nella sua concezione, ma modellato in modo perfetto attorno alle periferiche necessarie al suo utilizzo. Già a partire dalla configurazione del controller, difatti, si denota una cura non certo indifferente a livello produttivo, visto il modo decisamente naturale con cui si riesce a controllare i vari mezzi a nostra disposizione. Il movimento avanti/indietro è legato alla pressione dei due pulsanti centrali della coppia di Move che ho utilizzato, con la rotazione (libera o ad angoli da noi stabiliti) demandata ai bottoni frontali del controller. Oltre all’arma principale (due per il Zitadelle) controllata dal grilletto sinistro, ciascun veicolo avrà a disposizione un potere particolare, che potremo attivare tramite un pulsante, da premere muovendo il braccio del nostro avatar/hacker. Complice anche la struttura dei livelli decisamente lineare, ma non per questo da disprezzare, il controllo delle varie macchine è risultato immediato ed efficace, oltre che supportato da un feeling del gunplay che ha davvero poco da invidiare al suo fratello maggiore. Particolarmente interessante è risultata, inoltre, la missione legata all’utilizzo del drone, incentrata più sullo stealth che non sul massacro indiscriminato delle forze del Reich. Insomma, Wolfenstein: Cyberpilot funziona alla grande, e proprio per questo spiace constatare come il tempo in sua compagnia si esaurisca davvero troppo in fretta, al punto che appare quasi gettato via anche l’impegno profuso sul versante tecnico, capace di offrire un colpo d’occhio davvero convincente. Gli sforzi compiuti sono ancor più palpabili nelle fasi che fungono da raccordo tra una missione e l’altra, in cui dovremo riparare ed hackerare le macchine belliche, momenti in cui è possibile inoltre apprezzare da vicino il riuscitissimo mecha design di simili mezzi. Da sottolineare, inoltre, come Wolfenstein: Cyberpilot sia completamente localizzato nella nostra lingua, sia per quanto riguarda i testi che il doppiaggio: un qualcosa che, almeno a livello puramente personale, mi fa sempre piacere.

Wolfenstein: Cyberpilot mi ha fatto arrabbiare non poco, visto che è andato colpevolmente ad ingrassare le fila delle produzioni VR incapaci di fare il colpaccio, finendo per mancare l’ingresso nella schiera delle esperienze imperdibili. E la cosa mi infastidisce maggiormente proprio a causa del suo essere, per quanto brevissimo, un gioco divertentissimo e ben costruito, a cui sarebbe stato sufficiente un piccolo sforzo in più per ambire a risultati decisamente più lusinghieri, oltre che consoni alla bontà generale del giocato. Così come è, effimero come una manciata di neve lasciata al sole del deserto, il lavoro MachineGames/Arkane Studios rappresenta l’ennesima occasione sprecata in salsa virtuale, capace sì di intrattenere con sapienza, ma colpevolissima di esaurirsi davvero troppo in fretta.