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Recensione The Solus Project (Aggiornamento VR)

di: Simone Cantini

Era da poco iniziato l’anno in corso quando ebbi il mio primo contatto con The Solus Project e, come potete tranquillamente leggere a queste coordinate, l’impatto con la produzione Teotl Studios fu decisamente positivo, seppur al netto di alcune logiche perplessità. I mesi sono passati ed il gioco, proposto inizialmente nel programma Game Preview, si è ufficialmente aggiornato alla release definitiva, senza però riuscire a scrollarsi di dosso i difetti originali, finendo anche con l’aggiungerne altri.

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Problemi di ritmo

Se è vero che era stato possibile sviscerare nella loro interezza le meccaniche survival di The Solus Project già nel corso della precedente prova, lo stesso non poteva certo essere detto per la narrazione attorno a cui ruota il gameplay del titolo. Le prime, difatti, anche in questa incarnazione finale mantengono al loro interno tutti i pregi ed i difetti già riscontrati: pur funzionando alla perfezione e riuscendo a trasmettere un senso di precarietà e vulnerabilità davvero immersivo, a causa della maldestra e macchinosa gestione dell’inventario tutta la struttura finisce per accusare una mancanza di fluidità per quanto concerne la giocabilità nuda e cruda. La spesso imprecisa ed inutilmente complessa gestione di raccolta e crafting finisce per spezzare il ritmo di gioco, infastidendo inutilmente il giocatore anche solo quando si tratta di alternare tra loro i vari strumenti. Si tratta di piccole imperfezioni a cui si finisce ben presto per abituarsi, ma che se avessero beneficiato di una cura maggiore avrebbero di sicuro giovato alla già ottima atmosfera che si respira in The Solus Project. Spostando l’attenzione sul versante narrativo, spiace constatare come anche in questo caso le ottime premesse che erano state in grado di esaltare e stuzzicare la fantasia nel corso del primo contatto con il gioco cozzino con una realizzazione finale altalenante. Più che un problema di scrittura, però, in questo caso le criticità sono da ritrovare in un errato bilanciamento del ritmo di gioco che, dilatando troppo i momenti morti in cui ci troviamo semplicemente a vagare per la superficie di Gliese alla volta del prossimo punto di interesse, ha finito per rendere il tutto inutilmente prolisso. The Solus Project è uno di quei rari giochi in cui avrei preferito che la longevità complessiva venisse sensibilmente condensata: le circa 8 ore necessarie per arrivare ai titoli di coda, difatti, sono caratterizzate da numerosi momenti di noia assoluta, durante i quali non faremo altro che camminare (apparentemente privi di uno scopo reale) in attesa di raggiungere il nuovo hotspot previsto dai programmatori. La stessa scelta di relegare gran parte delle informazioni ai documenti sparsi per superficie del pianeta non fa altro che allentare ulteriormente la tensione, al punto che se non fosse per gli alert relativi al nostro precario stato psicofisico sembrerebbe più di trovarsi al cospetto di un walking simulator che ad un survival.

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Bellezza selvaggia

Il versante tecnico di The Solus Project non sembra aver subito particolari stravolgimenti in questo passaggio da titolo early access a prodotto retail. Fermo restando l’impeccabile direzione artistica del titolo Teotl Studios, permangono ancora piccoli problemi relativi al frame rate, anche se si tratta di episodi davvero sporadici. Molto più marcati i difetti dei caricamenti che, se nel caso delle texture non rappresentano di certo un fastidio insormontabile, lo stesso non si può dire di quelli relativi alle varie porzioni di gioco: accedere ad un nuova area o più semplicemente riprendere l’avventura dopo la morte finisce sempre con il tramutarsi in una snervante attesa. Basta però che il pad inizi a vibrare, annunciando l’arrivo di una pioggia di asteroidi, oppure un ben più temibile tornado, che tutte queste magagne finiscano con il passare in secondo piano, ammaliati come siamo dalla selvaggia bellezza di Gliese. Un ultimo appunto va invece fatto alla localizzazione che, a dispetto della controparte PC, ci restituisce un gioco completamente in inglese.

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Luci ed ombre si accavallano attorno a The Solus Project, finendo con il restituirci un prodotto decisamente contraddittorio. Se è vero che la produzione Teotl gode di un fascino e di un carisma innegabile, non si può non notare come questa sia minata da alcune imperfezioni di gameplay e di ritmo che finiscono per sminuire il lavoro del team. L’interessante ibridazione tra meccaniche survival ed adventure, unite ad una trama stuzzicante, riescono comunque a catturare il giocatore, ma resta davvero l’amaro in bocca se si pensa a cosa avrebbe potuto essere The Solus Project al netto delle sue evidenti criticità.

Sopravvivenza in VR

Anche e specialmente se avrete speso ore e ore nella vostra strada per la sopravvivenza giocando a The Solus Project, l’avvento della versione VR è sicuramente un grandissimo aggiornamento al titolo, che non mancherà di essere apprezzato dai giocatori.

Tempo addietro si vociferava a gran voce una versione VR di No Man’s Sky, che però non è mai arrivata, proprio in quanto l’esperienza 2D di esplorazione e scoperta dei pianeti assumerebbe completamente un’altra forma grazie all’immersione totale, e in The Solus Project accade proprio questo.

I luoghi, che abbiamo ormai imparato a conoscere a menadito per via delle meccaniche survival che ci costringono ad ottimizzare tempi e risorse, assumono una nuova dimensione, regalandoci panorami mozzafiato che coprono l’intero campo visivo. L’immersione è davvero grande, e l’utilizzo dei controller Move permettono di interagire con molta più naturalezza nel mondo di gioco, in maniera molto diversa rispetto a quanto visto finora. Interessante anche come sezioni con la camera statica di gioco, come ad esempio durante l’introduzione selezionando una nuova partita, assumono una spazialità tangibile, permettendoci anche lì di vivere l’avventura in prima persona, decidendo noi stessi dove dedicare l’attenzione e come vivere l’esperienza.

Vi sono, come in quasi ogni titolo, alcuni punti deboli che in questa versione sono rappresentati dalla grafica e dai controlli.

A differenza della versione “liscia”, in quella VR la quantità di elementi presenti su schermo presenta un taglio netto, risultando in una esperienza sempre evocativa e carismatica, ma in qualche modo meno ricca e spettacolare di quanto ci si potrebbe aspettare. Il problema in questo caso è attribuibile senz’altro a due fattori: la tecnologia del Playstation VR, che richiede prestazioni elevate ed assolutamente senza cali di frame, ed il fatto che il titolo sia comunque fruibile sia in 2D che in VR, mantenendo gli stessi salvataggi.

Dal punto di vista controlli è invece tutto un altro discorso. Qui si vede chiaramente la poca esperienza del team nei confronti del VR, che comunque, c’è da dire, riesce egregiamente nel creare un’esperienza godibile e gratificante. I primi dubbi nascono quando tenteremo di giocare senza prima guardare la mappatura dei controlli di movimento. Ciò che viene a mancare è essenzialmente l’immediatezza, questo per via di azioni legate a pulsanti che sembrano essere pensate per un controller anziché per una mano. Per muoverci avremo a disposizione diverse opzioni, dal classico teletrasporto al movimento fluido, sicuramente più immersivo ma al contempo più pesante per chi non ha uno stomaco forte.

L’apparecchiatura che utilizzeremo per tenere sotto controllo salute, temperatura, audio messaggi e sonno, sembra fin troppo grande in VR, quasi enorme rispetto alla controparte 2D, ed utilizzarla non è anche qui immediato. Con l’altra mano invece potremo gestire gli spostamenti, interagire con gli oggetti e selezionare l’inventario, che nulla cambia rispetto alla versione liscia, proponendoci lo stesso modo di interagire pensato più per la levetta analogica che per un controller Move.