Recensioni

Recensione The Living Dungeon

Sono da sempre un grandissimo fan de Il Labirinto Magico, soprattutto nella sua formula Master. Un amore nato decenni fa, quando da adolescente si trascorrevano i sabato sera in creperie a giocare ai bei giuochi da tavolo di una volta ™, tra i quali un giorno mi capitò di provare il classico Ravensburger. Sarà forse perché ha alcuni punti di contatto con questo intramontabile board game che mi sono tuffato nella prova di The Living Dungeon armato delle migliori intenzioni. Ed ora non posso fare a meno di riconsiderare sensibilmente il mio (fu) giovanile entusiasmo.

di: Simone Cantini

Sono da sempre un grandissimo fan de Il Labirinto Magico, soprattutto nella sua formula Master. Un amore nato decenni fa, quando da adolescente si trascorrevano i sabato sera in creperie a giocare ai bei giuochi da tavolo di una volta ™, tra i quali un giorno mi capitò di provare il classico Ravensburger. Sarà forse perché ha alcuni punti di contatto con questo intramontabile board game che mi sono tuffato nella prova di The Living Dungeon armato delle migliori intenzioni. Ed ora non posso fare a meno di riconsiderare sensibilmente il mio (fu) giovanile entusiasmo.

C’è un buco nel terreno

Tessere che si muovono e vanno a creare nuovi percorsi, magari andando ad ostacolare l’avversario di turno in attesa che questi attui la sua contromossa. Uno schema in sostanza davvero semplice, ma in grado di rendere imprevedibile e sempre differente ogni partita. L’idea di fondo delle tessere è la medesima anche nel caso di questo The Living Dungeon, opera del team RadiationBurn. Sorretto da un semplice schema narrativo, che vede un letale pozzo posto al centro di una città catalizzare le avventure del gruppo di personaggi che potremo interpretare nel lungo tutorial che funge da campagna. Oltre ad essere popolato da letali creature e trappole mortali, il pozzo è anche uno scrigno a cielo aperto ricolmo di tesori ed è per questo che funge sia da invitante preda per i criminali che come estrema forma di punizione per gli stessi. Ed è al suo interno che si svolge la complessa azione di gioco, non proprio ottimamente spiegata, tramite il succitato tutorial che, oltre a volerci rendere pratici del gameplay, consentirà di familiarizzare con i vari personaggi (ognuno dotato di particolari abilità), oltre a mettere in piedi una trama non certo memorabile ma funzionale.

Alea iacta est

L’azione di gioco si svolge su di un tabellone su cui poggiano delle tessere raffiguranti le varie stanze del dungeon. I vari turni di gioco, sia si tratti del player umano che dell’IA, sono regolati dal lancio di alcuni dadi, i quali vanno a determinare casualmente le azioni che è possibile compiere durante le varie fasi: queste permetteranno di muoversi, attaccare corpo a corpo o a distanza, saltare oppure (e qua torna il vecchio Labirinto) ruotare o ribaltare le tessere, di modo da alterare i percorsi oppure la conformazione stessa della stanza. I lanci dei dadi saranno, inoltre, influenzati dalle abilità passive peculiari di ciascun personaggio che, a seconda dei casi, potrebbero agire sulla capacità di movimento, di attacco, difesa e via discorrendo. Più simile ad uno strategico che ad un ruolistico, dato che non è previsto un upgrade dei personaggi, lo scopo principale di The Living Dungeon (almeno per quanto concerne lo story mode) ruoterà tutto attorno al riuscire a fuggire dai vari livelli. Talvolta sarà richiesto di compiere task specifici, come uccidere un determinato numero di avversari, difendere un dato personaggio oppure non impiegare più di un certo numero di turni per raggiungere la salvezza. Purtroppo, data la complessità intrinseca di alcune regole che potranno essere efficacemente comprese solo se testate con mano sul campo, il trial and error la farà da padrona e, complice un livello di sfida non certo permissivo, il giocatore meno paziente si potrebbe scoraggiare già alle prime partite. Prendere confidenza con le meccaniche risulta però obbligatorio qualora si decida di sfidare altri amici grazie al corposo comparto multigiocatore: quest’ultimo permetterà di sfidare sino ad otto differenti player attraverso varie modalità, che ricalcano quasi in toto le situazioni presentate nel tutorial. Al momento è possibile giocare soltanto in locale, anche se in possesso di un solo pad grazie alla natura a turni del titolo, ma pare essere già in lavorazione un update che consentirà di sfidarsi anche online.

Ermetismo mediocre

Se a livello di gameplay The Living Dungeon si presenta quanto mai solido, per quanto ostico da padroneggiare, lo stesso non si può dire per il comparto tecnico. Sviluppato tramite Unity, la messa in scena complessiva non è certo brillante, con un impianto visivo decisamente anonimo e tutt’altro che memorabile. Decisamente raffazzonate le cut scene che accompagnano lo story mode, realizzate sotto forma di sketch dalla dubbia qualità. Pesa, inoltre, date la complessità e la cripticità di alcuni meccanismi, l’assenza di una qualsiasi localizzazione in lingua italiana.

The Living Dungeon rappresenta un esperimento tutto sommato positivo per RadiationBurn, anche se è innegabile come le ristrettezze del team si rivelino nelle evidenti spigolosità sottolineate. L’idea è senza dubbio interessante, ma resa ostica da padroneggiare da una poco raffinata presentazione che di sicuro stride con l’eccessiva difficoltà che permea il tutorial/story mode. Di sicuro è un gioco in grado di tirare fuori il meglio se giocato in compagnia di amici, quindi è bene valutare se tale caratteristica possa essere sfruttata a dovere prima di procedere ad un eventuale acquisto.