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Recensione Strangers of Sword City

di: Giovanni Manca

Immaginate di trovarvi comodamente seduti su un aereo e, mentre guardate dall’oblò sognando palme di cocco e mare cristallino, tutto si fa buio: l’aereo è precipitato e noi siamo gli unici sopravvissuti. Peggio di Lost di J.J. Abrams, Stranger of Sword City ci catapulta in un pianeta sconosciuto in cui dovremo imparare a rimanere in vita insieme ad altri compagni d’avventura. Come? Ammazzando mostri a profusione, ovvio!

Labirinth

Ci troviamo così nel mondo di Escario e i suoi abitanti chiamano noi e i nostri simili venuti da lontano “Strangers”. A causa di una forza di gravità più bassa, gli strangers sono dotati di poteri incredibili (qualcuno di voi ha per caso nominato “Sotto le lune di Marte” di Burroughs?) e si rendono che solo coalizzandosi possono riuscire a sconfiggere creature le creature primordiali di Escario e, così, tornare a casa.
SOSC appartiene ad un genere decisamente di nicchia, i dungeon crawler RPG, dal discreto successo nella terra del sol levante e meno in occidente: i più appassionati probabilmente si ricorderanno della versione per Xbox 360 rilasciata ormai due anno or sono, la quale ottenne buoni responsi dalla critica. Il sistema di gioco è essenzialmente basato sul combat system, decisamente complesso e articolato come tutti gli appassionati del genere esigono, mentre l’esperienza di gioco che regala l’esplorazione è ridotta a minimi termini sotto quasi tutti di vista, da quello strutturale a quello visivo. L’avventura inizia con la selezione del personaggio e la scelta di tutti i parametri, coma la tradizione ruolistica impone: nome, nickname, età, voce, job e caratteristiche. L’aspetto è determinato dalla scelta tra uno degli oltre settanta ritratti, ottimamente disegnati e caratterizzati, tra i quali è davvero difficile non trovare un personaggio che non ci vada a genio.
Abbiamo precedentemente fatto riferimento alla componente esplorativa: ovvio che, considerato il genere sia un aspetto fondamentale, ma in questo caso Motoya Ataka ha scelto un sistema estremamente classico, lasciando al giocatore la possibilità di muoversi solamente in quattro direzioni e sempre in linea retta con visuale in soggettiva. Le ambientazioni dei dungeon sonno piuttosto varie ma nulla di originale, fedeli alla tradizione fantasy, sono decisamente complesse e, più avanti si val nel gioco, più diventa essenziale l’uso della mappa, la quale si scopre e rivela con l’esplorazione stessa (come tanti altri RPG, il primo che ci viene in mente è Diablo).

Blood Crystal

Per ritornare nel loro mondo gli strangers devono sconfiggere i Lineage Type, delle creature nascoste in determinati punti dei dungeon che si faranno trovare solo dopo aver ottenuto dei requisiti essenziali: fortunatamente non ci viene chiesto di vagare a caso ma il menù principale offre delle utili indicazioni su dove andare. Tali mostri, la cui forza è contraddistinta da un determinato numero di stelle, rilasciano i Blood Crystals, da offrire ad uno dei tre divinità di Escario per ottenere le Divinity, delle abilità uniche ottenibili solo in questo modo. Come più volte abbiamo sperimentato ne RPG, la scelta delle skills è una componente strategica molto importante, determinante per il proseguo dell’avventura, e nel caso specifico delle divinity lo è in modo particolare perché non è detto che quella scelta sia utile per il tipo di personaggio che si sta utilizzando in SOSC, e ogni Divinity è rilasciata da una sola delle tre dinività. Così come abbiamo detto per la fase esplorativa, anche per quanto riguarda il combat system è stato scelto un approccio estremamente classico. Nella fase precedente il combattimento, si sceglie la strategia da adottare assegnando i compiti al party (composto da 6 personaggi), attacco, difesa, magie, uso degli items; durante il combattimento l’ordine di azione è determinato dai valori di rapidità dei personaggi in battaglia, come da tradizione. Una novità interessante è l’uso delle divinity, di cui abbiamo parlato in precedenza, condizionato dai punti “morale” di ogni personaggio, a sua volta determinato dai danni inflitti e ricevuti. Alla fine dei conti nulla di originale mal il combat system funziona molto bene nonostante sia decisamente complesso. Quello che invece, secondo noi, funziona decisamente peggio, è la crescita del personaggio nel suo complesso. Ovviamente, le abilità e i parametri aumentano con i punti esperienza, e fino a qui nulla di speciale, il problema è che SOSC richiede un numero spropositato di punti, il che obbliga a numerosissimi combattimenti, quasi sempre ormai poco stimolanti in quelle fasi di gioco, e ad una esplorazione della mappa non proprio appagante. Frustrante quasi come veder morire definitivamente un personaggio del party creato con così tanta fatica: in SOSC infatti si muore. Ogni volta che un personaggio muore in battaglia i suoi punti vita massimi diminuiscono, fino a che non muore definitivamente; è vero che è possibile resuscitarlo, ma il prezzo da pagare previsto non ha praticamente senso: costo elevatissimo o l’attesa di un numero di battaglie spropositato. Un altro aspetto interessante ma frustrato da delle scelte discutibili è il job change system: è possibile cambiare classe cinque volte, utilizzare abilità della classe precedente e ritornare alla vecchia classe. Il problema è che il cambio comporta un dimezzamento del livello di abilità, e per cambio intendiamo anche i ritorno alla classe precedente: insomma, un aspetto che poteva essere davvero interessante e appagante è stato reso quasi odioso da delle scelte per noi incomprensibili. Mettendo sulla bilancia i pro e contro che abbiamo analizzato, per quanto riguardo il gameplay, SOSC ne esce comunque molto bene: nel panorama videoludico odierno è difficile trovare un RPG in grado di esaltare la strategia e il tatticismo come in questo caso.

Ultima Underworld

Allora, vogliamo premettere che lo stile grafico utilizzato per i filmati in CG, artowork e in genere per le immagini statiche è davvero fantastico, almeno per tutti gli amanti dello stile manga. Per quanto riguarda invece il gioco vero e proprio, devo essere sincero che la prima immagine che mi è tornata in mente è Ultima Underworld di Origins, uno dei padri del genere RPG, stravecchio. Strange of Sword City offre delle ambientazioni povere di dettagli, monotone e noiose, e anche per questo spesso prive di punti di riferimento per orientarsi. Sembra davvero di essere tornati indietro nel tempo. Molto coinvolgenti le musiche e l’ispirato doppiaggio in giapponese ma non bastano a mitigare la delusione che si prova davanti agli occhi muovendosi per la mappa.

Viaggio ad Escario?

Strange of Sword City chiaramente punta tutto sul combat system e questo ne fa un titolo di nicchia anche tra gli appassionati di RPG. Certamente non cerca di attirare il giocatore occasionale, anzi, lo allontana, gli fa capire da subito che non è a lui che si rivolge. In una struttura di gioco destramente classica e fedele alla tradizione cerca di portare alcune novità interessanti ma alcune scelte di gameplay le abbiamo trovate troppo estreme e frustranti. Forse si tratta di un’occasione sprecata ma ciò non toglie che molti amanti dei JRPG possano trovare in SOSC in titolo divertente e stimolante.