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Recensione Starlink: Battle for Atlas

di: Simone Cantini

Da qualche parte in casa ho nascosto uno scatolone ripieno di personaggi dei vari Skylanders, Disney Infinity e LEGO Dimensions, una sorta di mausoleo videoludico eretto in memoria dei toys to life, quel particolare genere videoludico capace di coniugare pupazzetti e software che pare oramai defunto per sempre. Ecco però che, quando meno te lo aspetti, arriva Ubisoft a farti ricredere, tentando con un inspiegabile colpo di coda di riesumare tale concetto ludico grazie al suo Starlink: Battle for Atlas. Sarà riuscito questo curioso mix di gaming ed ingombranti astronavi plasticose a risollevare le sorti di un settore oramai dimenticato da pubblico e publisher?

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Tanto tempo fa, in una galassia lontana…

Starlink: Battle for Atlas ci narra la storia dell’equipaggio della Equinox, nave interstellare costruita dallo scienziato St. Grand che, grazie alla tecnologia da cui deriva il nome del gioco, permette il trasferimento della materia attraverso lo spazio. L’uomo, assieme ad un gruppo di ragazzi dal passato che scopriremo giocando, si ritroverà ad esplorare il sistema stellare di Atlas, alla ricerca delle origini dell’organismo alieno da lui ospitato all’interno dell’armatura metallica conosciuta come Judge. La missione, però, come vuole la tradizione, si rivelerà molto più intricata del previsto, dato che in seguito all’abbordaggio della Equinox da parte delle forze della Legione al soldo dello spietato Grax, St. Grand ed il motore della Equinox verranno portati via, lasciando il gruppetto di superstiti praticamente abbandonato nel sistema di Atlas. Inizierà, quindi, la ricerca dell’uomo e della tecnologia, che porterà i giovani ad esplorare i sette pianeti di questa porzione cosmica, in quello che si configura come una sorta di versione decisamente più ludica del chiacchierato No Man’s Sky.

Starlink: Assassin’s Cry

Il gameplay di Starlink: Battle for Atlas, difatti, strizza in più di un’occasione l’occhio alla creatura Hello Games, declinando comunque il tutto all’insegna delle classiche produzioni open world di casa Ubisoft. Tutto si svolge all’interno di una navicella spaziale, vista in rigorosa terza persona, tramite la quale sarà possibile lanciarsi nell’esplorazione dei vari pianeti. Una volta atterrati sarà nostro compito setacciare in lungo e in largo la superficie dei corpi celesti, scoprendo avamposti da liberare dalle forze nemiche, installazioni di cui dovremo guadagnare la fiducia compiendo semplici missioni, oppure strutture nemiche da debellare. In base ai punti di interesse sbloccati, andremo ad ottenere una visione più ampia della mappa della zona (in perfetto stile torri di Assassin’s Creed), oppure potremo beneficiare di bonus in valuta, forze alleate che ci aiuteranno ad affrontare gli avversari, o particolari materiali che ci serviranno per potenziare i sistemi della Equinox. Ampliare quest’ultima servirà a sbloccare viaggi rapidi tra le varie location, ampliare la potenza delle strutture alleate, oppure ci consentirà di fondere tra loro le modifiche utili a potenziare i nostri vascelli. Queste ultime richiamano in parte gli upgrade visti per le armi di Destiny: suddivise per tipologie e rarità, le modifiche si potranno installare direttamente sulla navicella in nostro possesso, oppure sulle due armi ospitate a bodo di essa, aumentandone in vari modi le caratteristiche. Per quanto decisamente derivativo, il sistema funziona molto bene e permette un discreto livello di personalizzazione delle componenti. Di importanza parimenti cruciale, inoltre, saranno le bocche da fuoco che potremo equipaggiare, suddivise in cinque distinte categorie: fuoco, ghiaccio, gravità, antigravità e percussione. L’alternanza e la combinazione di questi elementi giocano un ruolo fondamentale nell’economia degli scontri di Starlink: Battle for Atlas, dato che di volta in volta troveremo dei nemici immuni ad una determinata modalità di fuoco, pertanto starà a noi controbattere con quella più indicata. Interessante, inoltre, la possibilità di dare origine ad intriganti effetti secondari, mescolando tra loro la potenza di due differenti armi: congeliamo un nemico e subito dopo lo colpiamo con un proiettile incendiario? Ecco che daremo origine ad uno shock termico in grado di amplificare i danni. Le combinazioni disponibili, per quanto ovviamente non numerosissime, rendono comunque stimolante la sperimentazione di più approcci, a patto ovviamente di avere a disposizioni le componenti giocattolose corrispondenti (ci arriviamo tra poco). I combattimenti, sia sulla superficie terreste che nello spazio, sono improntati sull’arcade più sfrenato, ma una volta presa mano con i comandi sono risultati estremamente divertenti. Peccato per un cast di nemici non proprio ampio, con poche tipologie di minacce da abbattere, che però riescono a dare il meglio di loro in occasione degli scontri con i Prime. Queste sono delle unità semoventi, simili a bionici ragni, che la Legione depositerà di tanto in tanto sui vari pianeti di Atlas, allo scopo di infettarli e che potremo attaccare in qualsiasi momento. Il loro tasso di difficoltà sarà determinato dal numero di estrattori (sorta di torri ben difese dalla Legione) attive su ciascun corpo celeste: più ne distruggeremo prima della lotta e più semplice sarà avere la meglio sul Prime. Per debellare definitivamente queste minacce, che respawneranno dopo un certo lasso di tempo, dovremo però distruggere i vari Dreadnought orbitanti nell’atmosfera, vere e proprie fortezze spaziali responsabili dello sgancio dei Prime, capaci di rappresentare una sfida davvero ostica. Oltre ad avere le armi adatte, inoltre, potremo contare sull’abilità dei vari piloti su cui è possibile contare, ognuno dotato di un’abilità unica ricaricabile e di un minimale skill tree ampliabile salendo di livello. E così, tra una scorrazzata in cerca di alleati, una lotta contro Legione e predoni, sia in terra che in cielo, Starlink: Battle for Atlas mette in piedi un’avventura tutto sommato divertente e convincente, in cui elementi shooter, esplorativi e ruolistici sono risultati ben amalgamati, anche se il tutto, dopo un po’ di ore, finisce per cedere il passo ad una certa ripetitività, visto che le attività da svolgere su ciascun pianeta risulteranno sempre identiche tra loro.

Il prezzo della concretezza

Dopo aver presentato una panoramica di quella che è l’offerta videoludica di Starlink: Battle for Atlas, è giunto dunque il momento di inquadrare il ruolo dei giocattoli all’interno della produzione Ubisoft e, devo essere sincero, il modo in cui questi si collegano al software nudo e crudo mi ha lasciato decisamente interdetto. Il nucleo portante della produzione è costituito, come sappiamo già, dalle varie navicelle, che dovranno essere alloggiate, assieme ad uno dei piloti disponibili, su di un particolare accessorio da collegare al pad. Quest’ultimo trasferirà in-game l’equipaggiamento prescelto, permettendoci dunque di dare vita agli oggetti in nostro possesso: insomma, nulla che non si sia visto già in altri toys to life. Il primo problema dell’operazione Ubisoft, però, risiede in una certa macchinosità di assemblaggio, decisamente scomodo per quanto riguarda la sostituzione dei piloti, leggermente fastidioso per ciò che concerne le navicelle, mentre è risultato indolore se applicato alle armi. Insomma, l’immediatezza di utilizzo non è certo il punto forte di Starlink:  Battle for Atlas. A suscitare ulteriori dubbi, inoltre, ci pensa il fatto che non è necessario possedere fisicamente i vari oggetti per giocare: acquistando il tutto in digitale, difatti, è possibile sfruttare ogni componente progettata per il titolo in maniera decisamente più immediata e comoda (si cambia tutto tramite il menu di gioco). Tra l’altro, comperando per poco meno di 100 Euro l’edizione digitale deluxe, è possibile portarsi a casa tutti i contenuti attualmente disponibili, risparmiando tantissimo rispetto all’acquisto fisico di tutto il materiale. Insomma, sembra quasi che sia Ubisoft stessa a non essere del tutto convinta della potenzialità del proprio prodotto, al punto da non voler correre troppi rischi, mantenendo il piede in due staffe. Resta, inoltre, il problema del target a cui fa riferimento Starlink: Battle for Atlas, che non potendo contare su di un brand di forte richiamo rischia di essere tagliato fuori sia dal radar dei nerd veterani che da quello delle nuove leve. Ma a questo dubbio solo il tempo potrà dare risposta.

Vecchia volpe (spaziale)

Dal canto mio, però, mi auguro che l’universo creato da Ubisoft riesca a raccogliere consensi, visto che comunque offre sin da adesso solide basi sulle quali plasmare eventuali contenuti futuri. Ad un comparto narrativo interessante, per quanto non originalissimo, e ad un gameplay solido, si affianca anche una realizzazione tecnica tutto sommato gradevole, che richiama anche a livello stilistico quanto tracciato da Sean Murray e soci. Certo, l’impatto non è quello delle grosse produzioni tripla A, ma il tutto si attesta comunque su livelli più che discreti, anche in modalità portatile su Switch (la versione da me testata). Anzi, a conti fatti, pur al netto di alcune prestazioni leggermente inferiori rispetto a One e PS4, mi sento di consigliare a tutti la versione per l’ibrida Nintendo, visto che solo qua è possibile sfruttare i personaggi ed i veicoli di Starfox, a cui si aggiunge un’avventura inedita esclusiva, in grado di ampliare la già cospicua longevità complessiva.

Non nego che, se inquadrato come puro e semplice toys to life, non riesca ad essere pienamente convinto dell’esperimento chiamato Starlink: Battle for Atlas. La scelta di non puntare in modo fermo e convincente, sia a livello pratico che ludico, sui modellini di contorno mi lascia infatti alquanto interdetto. Se visto come un canonico gioco di avventura a tema spaziale, però, il titolo Ubisoft guadagna immediatamente una decisa spinta verso l’alto, grazie ad un gameplay quanto mai solido e divertente, pur se afflitto da una certa ripetitività. Come sempre accade per i titoli più importanti del publisher transalpino, però, rimane la recondita speranza che questo seme iniziale possa germogliare e dare i suoi frutti nelle sue prossime incarnazioni, anche se già in questa sua prima forma di sostanza per divertirsi ne troviamo in quantità più che sufficiente. Non chiamatelo, però, toys to life.