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Recensione Resident Evil VII: Biohazard

di: Simone Cantini

Il cambiamento fa paura, spaventa e ti lascia addosso uno stuzzicante senso di inquietudine. Lanciarsi in una nuova avventura, ignari di cosa ci possa riservare il futuro, abbandonando le confortevoli pareti della nostra quotidianità può servire per aprirci strade inedite, illuminarci lungo il percorso di un rinnovamento positivo. Oppure può permetterci semplicemente di ritrovare noi stessi, spingerci con rinnovata sicurezza sul sentiero che abbiamo già ampiamente battuto, rinnovando però la nostra energia. È questo il caso di Resident Evil VII: Biohazard che, dopo averci visto correre spaesati e (talvolta) disgustati all’interno di un mondo che non eravamo più in grado di riconoscere, ha scelto di stringerci con violenza la mano solo per riportarci a casa: peccato che sia quella dei Baker.

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Amore disperato

Ethan è un uomo come tanti altri, una persona comune che conduce un’esistenza ordinaria assieme alla sua adorata compagna Mia. E quando questa si deve allontanare da casa per lavoro, il nostro inconsapevole eroe ignora che quello potrebbe ben presto tramutarsi in un doloroso, quanto prematuro addio. L’offerta di un posto da baby sitter sancisce, difatti, la scomparsa di Mia. Passano tre anni, tre lunghi anni fatti di silenzio e speranza, finché un giorno Ethan si vede recapitare per mail uno strano videomessaggio, in cui una sconvolta ed irriconoscibile Mia lo invita a dimenticarla. L’amore, però, sappiamo bene che in grado di far compiere i gesti più sconsiderati, così Ethan si mette testardamente sulle tracce della persona che credeva oramai morta, finendo con il giungere nella paludosa provincia della Louisiana solo per precipitare in un incubo di proporzioni inimmaginabili. Inizia così, abbandonando soldati palestrati e super addestrati, il controverso Resident Evil VII: Biohazard. Un inizio spiazzante per gli habitué della saga targata Capcom, sia per toni che (soprattutto) per la già ampiamente criticata scelta di sposare la tanto vituperata visuale in prima persona. Il lancio della demo, difatti, più che per le sue atmosfere ed i suoi contenuti, aveva catalizzato l’attenzione del grande pubblico su questa decisione imprevista: tacciata di aver utilizzato un mero espediente volto a ricalcare il successo di titoli come Outlast, criticata per aver completamente perso la bussola e di aver snaturato ancora una volta uno dei suoi brand più iconici, Capcom non si è però persa d’animo ed ha continuato a difendere la sua creatura rilasciando nuove, rassicuranti conferme in merito alla natura del suo progetto. Ed oggi, dopo aver portato a termine l’avventura di Ethan in poco meno di nove ore, posso confermare ancora una volta che la casa di Osaka è riuscita davvero a restituire alle sue origini, pur cambiandogli pelle, il nostro amato Resident Evil.

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I favolosi Baker

Accantonando per un momento l’argomento visuale, è necessario ribadire un concetto fondamentale: Resident Evil VII: Biohazard segna un netto ritorno alle atmosfere misteriose del primo, indimenticabile capitolo, sia per quanto concerne l’atmosfera che (finalmente!) per il gameplay. La residenza dei Baker, con la sua architettura contorta, le numerose porte da sbloccare tramite le mai dimenticate chiavi e i suoi enigmi, non può non far tornare piacevolmente alla mente l’esplorazione di villa Spencer. L’incedere, per quanto il nostro punto di vista sia giocoforza cambiato, riscrive in maniera moderna e fortunatamente meno rigida simili sensazioni, pur non mancando di riproporre pedissequamente alcuni determinati punti fermi. A partire dalla gestione rigorosamente ristretta del nostro inventario, il cui risicato spazio (almeno fin quando non troveremo zaini più capienti) ci vedrà costretti ad utilizzare in modo serrato gli imprescindibili bauli magici tanto cari alla serie. Tornano le erbe e non mancano poi i classici punti di salvataggio manuali, costituiti da vecchi registratori a cassette, seppur coadiuvati da una manciata di checkpoint automatici imprescindibili in un gioco datato 2017. Si può essere critici quanto si vuole nei confronti della scelta di camera operata da Capcom, ma basterà abbandonare anche solo per un istante ogni pregiudizio, limitandosi a godersi semplicemente il titolo, per capire come Resident Evil VII: Biohazard rappresenti davvero la visione moderna e per certi versi anche ruffiana del suo illustre e più volte invocato antenato. E questa sensazione di nuova riscrittura di un classico si riflette anche nei numerosi scontri con le aberrazioni che popolano questa inedita porzione della timeline imbastita da Capcom, scontri che potranno essere talvolta anche solo evitati, ma che hanno nel nutrito numero di bocche da fuoco presenti nel gioco un confortante e familiare mezzo di confronto. Dimenticate i personaggi inermi, capaci solo di nascondersi, presenti negli horror moderni: in Resident Evil VII: Biohazard si spara molto, in modi vari e soprattutto divertenti. Certo, bisogna prima scendere a patti con la reattività di Ethan che, trattandosi come già detto di un comune essere umano, non vanta la reattività di un Chris o di un Leon, ma non per questo non è in grado di essere uno spietato killer. L’amore, ma soprattutto l’istinto di sopravvivenza, può compiere veri e propri miracoli. E parlando di combattimenti non si può non citare le mostruosità con cui saremo chiamati a confrontarci. Se è vero che i Micomorfi non spiccano per originalità creativa, è innegabile come i Baker rappresentino una nemesi davvero ben costruita e scritta: affascinanti nella loro deforme follia, i nostri terrificanti carcerieri saranno anche i protagonisti di alcune azzeccate boss fight, ma saranno anche in grado di darci del filo da torcere anche negli altri momenti dell’avventura, costringendoci a giocare stavolta d’astuzia per evitare di sprecare preziose munizioni. Interessante, poi, come ciascuna delle zone della tenuta che presiedono sia caratterizzata da un suo gameplay particolare, tarato sulla loro distorta personalità, elemento che rende sempre vario l’approccio alle differenti sezioni. Peccato solo per l’ultimo scontro decisamente sottotono e un po’ troppo semplice, a cui Capcom ha pensato di anteporre una sezione finale decisamente dal ritmo più squilibrato rispetto al resto dell’esperienza. Forse il difetto più ingenuo che sia emerso in tutta la prova del titolo. Parlando di narrativa va detto che non era facile incastrare all’interno di un universo oramai così intricato questa nuova avventura, pertanto è stata una scelta azzeccata quella di lasciare quasi sullo sfondo personaggi e situazioni già noti, pur non lesinando riferimenti a tematiche classiche della serie (dite addio ai vostri dubbi in merito ad elementi sovrannaturali!). Anche sotto questo punto Resident Evil VII: Biohazard non delude le aspettative, al netto di qualche piccolo buco comunque trascurabile, riservandoci anche un colpo di scena finale che farà la gioia dei fan.

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Il rumore della paura

Tecnicamente parlando Resident Evil VII: Biohazard ricalca in toto quanto già sperimentato nella demo. Fermo restando che non siamo di certo ai vertici della produzione attuale rivolta a PS4 e Xbox One, l’impatto visivo resta comunque gradevole, prevalentemente per merito di una direzione artistica molto azzeccata che, pur muovendosi su sentieri già tracciati, rimane in linea con le atmosfere da anni reclamate dai fan. Gli stessi scenari affrontati esulano, come auspicato, dalla sola dimora Baker, spingendosi anche in territori che non possono non richiamare alla mente Resident Evil: Revelations. La recitazione digitale si è rivelata molto buona ed ha nei già citati Baker la sua punta di diamante. Ottimo anche il doppiaggio in italiano che ha nel solo Ethan il suo punto più debole, prevalentemente a causa di un voice acting non sempre coerente con le situazioni che il nostro sfortunato eroe si troverà a vivere. Lodi sperticate per l’effettistica generale che, pur essendo caratterizzata dai consueti cigolii e rumori ambientali imprevisti, riesce ad accrescere il senso di oppressione in maniera esemplare.

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Sarò breve e coinciso: Resident Evil VII: Biohazard mi è piaciuto molto ed ha segnato il gradito ritorno a meccaniche e situazioni che credevo oramai perdute dopo il celebrato quarto episodio, per me il punto di non ritorno segnato dalla saga Capcom. Ovviamente non si tratta di un titolo perfetto, sia a causa di una longevità un po’ troppo risicata (almeno per i miei gusti), sia per la già citata perdita di ritmo dell’atto finale, ma è innegabile come la produzione nipponica abbia finalmente ritrovato la strada di casa, facendoci tornare a respirare le malsane atmosfere da survival horror che erano state da anni sommerse sotto tonnellate di proiettili.