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Recensione Recensione di Tales of Monkey Island

Recensione di Tales of Monkey Island di Console Tribe

di: REdeiDESIDERI

Il Grog. La prima volta in vita mia che sentii il nome di questo strano intruglio alcolico avevo circa 13 anni. Una pomeriggio, un mio compagno di scuola mi si presentò a casa con la scatola di un gioco che, a suo dire, “dovevo assolutamente provare in quanto forse il più bel gioco di tutti i tempi”. La cosa lì per lì mi sembrò strana, perché chiunque possedesse un Commodore Amiga nel 1990 sapeva benissimo che probabilmente il miglior videogame esistente in quel momento era Turrican 2 dei Factor 5. Inserito il primo dei quattro dischi da 720Kbyte contenuti nella scatola, dopo circa un minuto di caricamento dallo schermo del computer risuonò una musica bellissima, un tema prettamente caraibico ma dai chiarissimi richiami armonici ai motivetti dei film pirateschi. Dopo una trentina di minuti di gioco, ebbi la chiara cognizione di cosa intendesse dire quel mio amico: The Secret of Monkey Island non era una semplice avventura grafica come ne andavano di moda molte in quel periodo, bensì era qualcosa dal potere narrativo immenso, una “vetta” videoludica mai toccata prima rispetto a quel genere di prodotti.
Certo, LucasArts aveva all’epoca già un solidissimo nome presso gli appassionati di videogiochi, grazie soprattutto ad opere come Maniac Mansion e Zack McKraken and the Alien Mindbenders. Tuttavia lo splendore di Monkey Island era prorompente, qualcosa in grado di sviluppare dipendenza e capace di tenere ore incollati alla propria tastiera nella speranza di riuscire a capire come risolvere gli strampalati enigmi che avrebbero permesso al giovane Guybrush Threepwood di diventare un temibile pirata e conquistare il cuore della giovane governatrice di Melee Island, Elaine Marley, non prima però di essersi sbarazzato del cattivissimo pirata LeChuck.
Cosa rendeva Monkey Island unico? Probabilmente una ambientazione esotica, ma soprattutto una caratterizzazione scenica e dei personaggi talmente profonda da far emergere fin dal principio il fatto che la sceneggiatura alla base del gioco sarebbe potuta tranquillamente essere quella di una delle migliori commedie sui corsari mai scritte per il cinema. Tutt’oggi riecheggiano sulla rete, in decine di blog di fan della serie, le voci mai assopite che vorrebbero il canovaccio principale della saga dei Pirati dei Caraibi di Disney come un plagio a man bassa della trama di Monkey Island; ma questo non è importante per la nostra storia. L’universo creato dall’autore Ron Gilbert su diretta ispirazione dei libri di Stevenson e, per sua stessa ammissione, da una celebre “giostra” sui pirati nel parco dei divertimenti di Disney World in Florida, si impose di forza nella coscienza di tutti i videogiocatori del tempo nonché di tutti quelli che vennero dopo.

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Il più grande pirata del mondo!

Il mito della terrificante Isola delle Scimmie rivive oggi grazie a questa nuova avventura in 5 capitoli, annunciata lo scorso anno inizialmente solo per PC e Wii da TellTale e Lucasarts, e prodotta da Dave Grossman (co-autore dei primi due capitoli della saga) con la supervisione di quello stesso Ron Gilbert che è a tutti gli effetti il padre spirituale dell’universo di Monkey Island. La trama di questa nuova avventura mantiene intatto il ritornello della lotta tra Guybrush e Le Chuck, destrutturando però il tutto in una sequenza studiata appositamente per la natura episodica del gioco, una specie di “serial” videoludico, già sperimentato con successo con Sam & Max, ad esempio. Tutto ha origine con un disastroso tentativo di liberazione dell’amata Elaine, rapita tanto per cambiare da LeChuck, da parte di Guybrush. La proverbiale imbranataggine del nostro protagonista lo porterà dapprima a naufragare sulla sconosciuta isola di Flotsam e successivamente lo coinvolgerà in un rocambolesco (e assolutamente fuori di testa) viaggio per le isole dei Caraibi, fino addirittura a raggiungere il regno dei morti con la speranza di poterne uscire e distruggere LeChuck una volta per tutte. In un crescendo di situazioni strambe ed enigmi dalla comicità surreale, Monkey Island conferma sé stesso e la sua tradizione fatta di intelligente senso dello humour e battute tanto taglienti da sfiorare talvolta il grottesco. In fondo, perché avrebbero dovuto apportare qualche modifica al vero marchio di fabbrica della serie? Bene così…

Al passo con i tempi!

Tenendo alto il profilo delle sue recenti produzioni per home console, Telltale ha scelto di abbandonare il classico sistema punta e clicca in virtù di un sistema ibrido (identico a quello utilizzato in Sam & Max) in cui al giocatore è dato il diretto controllo del buon Guybrush per mezzo dello stick analogico, mentre l’inventario è affidato ai tasti frontali del pad.

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Se da un lato il sistema pare molto più versatile ed al passo con i tempi (per ciò che concerne un titolo simile approcciato da una console), è dura ammettere che Monkey Island perde così gran parte del suo fascino originale, grazie soprattutto ad una nuova gestione delle interazioni ambientali. Se originariamente Guybrush poteva interagire con un oggetto per mezzo di diversi comandi (raccogli, esamina, apri, ecc.), adesso il tutto è stato semplificato in virtù di una rapida selezione degli oggetti a schermo (selezione attuata, peraltro, con un indicatore blu – sempre come visto in Sam & Max) e grazie al quale basterà cliccare su un oggetto per avviarne una disamina, con eventuale raccolta nell’inventario. Da qui sarà poi possibile, ovviamente, esaminare meglio un oggetto o eventualmente combinarlo con gli altri; tuttavia ci pare evidente che il senso di semplificazione sia sin troppo “al passo con i tempi”. Anche il profilo enigmistico del titolo non offre, a conti fatti, le stesse soddisfazioni di un tempo, con una curva di difficoltà buona ma comunque incapace di creare realmente qualche grattacapo ai giocatori più navigati, sebbene (è il caso di dirlo) l’impianto “enigmistico” di Monkey Island sia rimasto intatto, tanto che i puzzle non risultano mai scontati, banali o – peggio ancora – sconclusionati. Proprio lo “stile” con cui quest’opera è stata confezionata risulta la conferma dell’ineccepibile talento con cui Telltale sa farsi carico di storici brand quali, appunto, Monkey Island e Sam & Max. Il gioco si diverte a citare le sue origini, talvolta non in modo diretto ma velatamente (è il caso, ad esempio, del ritorno della mappa dell’isola con veduta aerea). Sebbene stravolto nelle sue caratteristiche ludiche di base, l’interazione, i dialoghi e i personaggi restano fedeli il più possibile ai trascorsi della serie, ricalcando appieno lo stile dei primissimi capitoli del brand. Accompagnare Guybrush nelle sue peripezie contro LeChuck è quanto mai appagante e restituisce (seppur con i dovuti aggiornamenti) quel senso di “ricordo” che ci si aspetterebbe da un ritorno come quello di Monkey Island. Ritorno, peraltro, che non mancherà di tenere incollati allo schermo per un cospicuo numero di ore dato che il gioco, nella sua forma completa comprendente ben cinque capitoli, registra un timer complessivo di venti ore. Una bella media per una produzione odierna, soprattutto se si considera che, i giocatori più lenti, potrebbero metterci anche di più!

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Monkey style: guarda come ti scimmiotto lo stile!

Tecnicamente parlando, Tales of Monkey Island si attesta su buoni livelli replicando, anche stavolta, quanto di buono si era potuto ammirare con la serie di Sam & Max. Adottando uno stile cartoon a dir poco caricaturale, Monkey Island si dimostra gradevole e ben confezionato, restituendo un feedback audiovisivo soddisfacente e simpatico, capace di rievocare alla mente l’amatissimo stile delle vecchie produzioni LucasArts, seppur con un bel po’ di poligoni in più. Certo, non mancano difetti quali ombre pixellose, alcuni sporadici cali di framerate e qualche texture un po’ scialba, ma il colpo d’occhio generale è più che buono e, complice un parco animazioni (con tanto di espressioni facciali) più che soddisfacente, nessuno dei difetti sopra elencati pare capace di compromettere l’esperienza di gioco. Unico vero neo è forse la sola gestione della camera di gioco, completamente affidata al software e per nulla influenzabile dal giocatore. Il problema è che, cercando di seguire sempre i movimenti di Guybrush, spesso la telecamera pare incapace di “superare” certi angoli o comunque certi ostacoli a metà schermo, rendendo ostica la selezione da parte del giocatore di alcuni oggetti. In tal senso è emblematica la prima fase di gioco in cui, sballottati dalle onde sulla nave di LeChuck, si ha difficoltà a selezionare gli oggetti più a margine della visuale di gioco. Fortunatamente con un po’ di pratica ci si abitua e ben presto ci si dimentica anche di questo problema, ma in un’esperienza simile una telecamera un po’ più “elastica” non avrebbe fatto male.

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Passando al comparto sonoro, anche qui ci troviamo su ottimi livelli su cui svetta decisamente il doppiaggio dei personaggi (purtroppo anche stavolta esclusivamente in lingua inglese e senza sottotitoli in italiano). Le vicende dei vari protagonisti, spassose da leggere e da giocare, sono ancora una volta esclusiva dei migliori conoscitori della lingua inglese, complici espressioni gergali, dialetti e frasi fatte cui difficilmente può approcciarsi chi non ha la piena padronanza dell’idioma. Musiche ed effetti audio, poi, sono di assoluta qualità e sono capaci di restituire in tutto e per tutto quell’atmosfera piratesca che si potrebbe respirare in giro per mare in quel dei Caraibi. ARRRR!

Yo oh! yo oh! La spada, il corpo, il mare!

Attraversare indenni 20 anni di storia dei videogiochi e risplendere ancora di luce propria, non è da tutti. L’identità di Monkey Island e l’integrità di tutti quegli elementi che hanno reso questo videogame un vero e proprio monumento sono chiaramente ritrovabili anche qui, nei 5 episodi che compongono Tales of Monkey Island dei TellTale. La paura che questo progetto si rivelasse una semplice operazione commerciale per tentare di racimolare qualche profitto sfruttando un nome così famoso, si è fortunatamente infranta su un prodotto che appare fresco ed estremamente godibile. Ciò vale indipendentemente da una struttura di gioco assolutamente classica e per nulla innovativa rispetto al paradigma di graphic adventure di cui lo stesso Monkey Island è uno dei fondatori. Tales of Monkey Island appare nel doppio valore di un degno tributo alla memoria della saga originale per i fan e una godibilissima avventura grafica per il neofita che si avvicina a questo prodotto per la prima volta.

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Monkey Island, insomma, ritorna, e lo fa con stile! Il carattere, il carisma e la forma storica del brand sono indubbiamente ritornati grazie ad una cura a dir poco maniacale nel saper riportare la serie al passo con i tempi (soprattutto graficamente parlando). Perfettamente in linea con il passato (salvo qualche ovvia modifica al gameplay), Tales of Monkey Island sa affascinare, colpendo il giocatore come un barile di grog in pieno volto! Se siete abbastanza avanti con gli anni per ricordare con gioia le scorribande di quel babbeo di Threepwood, non c’è neppure da domandarsi se valga la pena o meno di acquistare questo titolo: fatelo e basta. Ritroverete in questi episodi centinaia di citazioni, riferimenti e omaggi a tutti quei personaggi e quell’immaginario fantastico creato a partire dalle prime avventure della serie. A nostro parere parliamo di un titolo immancabile nella soft-teca del fan come in quella del neofita, la cui unica pecca (ma lo era anche per S&M) è quella di non potersi far godere appieno da chi non mastica la lingua inglese. Un must have del Playstation Network, che tutti dovrebbero almeno provare, non fosse altro per il prezzo competitivo (19,90€) o per la possibilità di provarne la demo su Playstation Store! E allora salpiamo marinai!

“If a woodchuck would chuck wood, how much wood could a woodchuck chuck?”