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Recensione di Star Ocean 4: The Last Hope

Recensione di Star Ocean 4: The Last Hope di Console Tribe

di: Redazione
Dopo aver dato vita al leggendario Tales of Phantasia per il Super Famicom ed essere stati costretti a lasciare il destino della serie nelle avide mani di Namco, rea di aver alterato lo spirito del progetto originale, e del suo Tales Studio, i talentuosi sviluppatori del Wolf Team
hanno avuto il coraggio e la determinazione necessari per ricominciare
da zero e tornare nell’olimpo dei giochi di ruolo nipponici.
Guidati dai “tre assi” Yoshiharu Gotanda, Masaki Noromoto e
Joe Asanuma, la nuova software house tri-Ace Incorporated ha regalato a noi videogiocatori viaggi onirici e centinaia di ore di puro intrattenimento grazie a titoli del calibro di Valkyrie Profile e Star Ocean,
vere pietre miliari dell’universo dei bit e delle texture. Gli
oltre 5 anni di sviluppo necessari per il completamento del quinto
capitolo della saga sci-fi/fantasy e le ingenti risorse del nuovo
publisher Square Enix basteranno ad assicurarci un avvincente viaggio nell’oceano stellare?





Calnus, engage!



Corre l’anno 2096 ed il nostro amato pianeta blu è ridotto
ad un cumulo di macerie altamente inquinate dopo lo scoppio della terza
guerra mondiale. In questo apocalittico (ma non improbabile) futuro
l’esplorazione spaziale è l’ultima
possibilità rimasta al genere umano così la USTA
(Universal Science and Technology Administration) fonda segretamente la
SRF (Space Reconaissance Force) con lo scopo di trovare nel vasto
oceano stellare una nuova patria per i sopravissuti al conflitto
atomico. In questa clima generale di speranza e paura per il futuro,
Edge Maverick ed i suoi amici d’infanzia Reimi Saionji e Crowe F.
Almedio decidono di arruolarsi spinti dal desiderio di esplorare
l’ignoto e contemporaneamente cercare nell’infinita
galassia un nuovo giardino dell’eden per i propri simili. Alla
guida dell’avanzatissima nave spaziale SRF-003 Calnus il nostro
ossigenato spadaccino avrà l’opportunità di
esplorare mondi remoti (saranno disponibili sette differenti pianeti su
cui atterrare) e fare più di un incontro ravvicinato del terzo
tipo: il rapporto tra la razza umana, relativamente nuova ai viaggi
stellari, e i vari popoli extraterrestri è sempre stato uno dei
leitmotiv della saga Enix e proprio questo capitolo, che si presenta come un prezioso prequel agli eventi di Star Ocean: Fantastic Space Odyssey
, ci offre l’incredibile occasione di comprendere molti elementi
della storia che nei precedenti episodi erano solamente accennati o
consultabili negli immancabili diari.

Come da tradizione lo sviluppo della trama ha un incipit molto lento
ma, nonostante la semplicità di fondo dell’intreccio ed
alcuni (forse troppi) cliché narrativi, la sceneggiatura
presenta delle situazioni originali e dei graditi coup de
théâtre che mantengono vivo l’interesse per
l’evolversi della storia e dei suoi personaggi. Il solito jrpg
destinato all’oblio? No.

Ciò che valorizza e distingue l’ultima fatica di tri-Ace non è la criticabile storia, ma il gameplay, maturato e perfezionato in 13 anni di duro lavoro: The Last Hope rielabora l’ottimo sistema di combattimento di Till The End of Time
semplificandolo e correggendo quelle leggere imperfezioni che
rovinavano in piccola parte una formula già vincente nel 1996.
Gli scontri, sempre in tempo reale, avvengono in arene separate dopo
essere entrati in contatto (attacchi a sorpresa o preventivi e agguati
dipenderanno da come assalirete i nemici) con i mostri presenti sulla
mappa (si, avete capito bene, NIENTE INCONTRI CASUALI) e coinvolgeranno
i 4 membri attivi del nostra ciurma (1 controllato direttamente da noi
e 3 affidati alla IA) che, fortunatamente, potranno essere sostituiti
con le riserve in qualsiasi momento del combattimento. La mappatura dei
comandi è stata leggermente modificata rispetto ai precedenti
capitoli: l’intensità nella pressione del tasto non
varierà l’abilità ad esso assegnata ed è
stato eliminata la distinzione attacco forte/veloce a tutto vantaggio
dell’immediatezza e della velocità d’esecuzione,
essenziale nell’utilizzo delle azioni di aggiramento che,
novità assoluta della serie, ci permetteranno di evitare in
maniera molto coreografica i fendenti nemici e contrattaccare con un
elevato bonus ai danni. Sarà inoltre possibile, dopo aver subito
o arrecato una determinata quantità di danni, entrare in
modalità Assalto tramite la pressione di un semplice pulsante
per aumentare le capacità combattive del nostro personaggio e
sbloccare l’esecuzione di devastanti attacchi combinati che
possono letteralmente sbriciolare anche il più colossale dei
boss. Il peculiare sistema di progressione delle abilità offre
alti livelli di personalizzazione: potremo infatti scegliere tra
differenti stili (BEAT, acronimo di Battle Enhancement Attribute Type)
a seconda del nostro approccio alla battaglia; votato all’attacco
con il Beat A, difensivo con il Beat D o neutro con (l’inutile)
Beat N.

Non basterà la forza bruta per avere la meglio sulle centinaia
di entità che tenteranno di portarvi al game over ma dovrete
pianificare la strategia della vostra squadra ed selezionare le
abilità migliori da portare in battaglia. Le tecniche
utilizzabili, che variano da personaggio a personaggio, vengono apprese
non solo con il canonico aumento di livello ma anche tramite
particolari manuali sparsi per il vasto mondo di gioco e si
differenziano in Abilità Generali e Simboli (comunemente
chiamate magie), eseguibili direttamente nei duelli, Poteri Speciali e
Abilità di Battaglia che conferiscono invece capacità
particolari da utilizzare nelle situazioni più disparate e bonus
passivi alle statistiche. Una buona dose di intelligenza tattica nello
sfruttare il danno localizzato nei mostri più coriacei e un
po’ di sano farming saranno dunque necessari per affrontare i
pericoli dell’esplorazione spaziale, anche se tri-Ace ha
fatto di tutto per rendere l’esperienza meno monotona possibile
grazie all’utilizzo della griglia d’esperienza (una tabella
che fornisce ricompense bonus se si soddisfano determinati requisiti) e
dei Punti Abilità di Gruppo, che permettono in definitiva di
migliorare le tecniche anche dei personaggi meno utilizzati (oppure di
rendere i nostri preferiti delle vere e proprie armi di distruzione di
massa) nel minor tempo possibile.

Nonostante l’ottimo lavoro svolto con l’IA dei propri
compagni e i relativi script comportamentali selezionabili, i nostri
alleati non utilizzeranno mai manovre d’aggiramento e
contrattacchi vanificando del tutto l’esistenza del BEAT A.
Veramente inconcepibile, inoltre, la scelta di non includere un tasto
per scorrere i vari nemici nella arena di battaglia: spesso il sistema
di puntamento automatico renderà la coordinazione del nostro
team maledettamente frustrante e l’unica possibilità
lasciata dagli sviluppatori (fortunatamente) è quella di
bloccare la visuale su un unico obiettivo, comunque difficilmente
selezionabile negli scontri più concitati.

Come facilmente intuibile, Star Ocean: The Last Hope
può vantare un’incredibile longevità (anche se per
la prima volta nella serie non ci sono finali multipli ma solo scene
bonus da sbloccare), esaltata dalla presenza di decine di (purtroppo
scarne) quest secondarie, trofei di battaglia (riconoscimenti ottenuti
superando determinati requisiti negli scontri), centinaia di materiali
da accumulare nelle nostre lunghe camminate ed un’infinità
di oggetti da creare (ogni personaggio della ciurma ha la
facoltà di inventare e raccogliere diversi tipi di item). 40 ore
basteranno a terminare il gioco, ma i perfezionisti andranno ben oltre
le 100 per terminarlo al 100% e sbloccare le due difficoltà
aggiuntive, penalizzate comunque dall’incomprensibile scelta di
non implementare la funzione di New Game Plus e costringere i giocatori
a ricominciare ogni volta dall’inizio.





Infinite Undiscovery 2.0



Star Ocean: The Last Hope sfrutta una versione aggiornata dell’engine grafico utilizzato nel recente Infinite Undiscovery, sempre sviluppato da tri-Ace in collaborazione con Square Enix.
L’intervallo di tempo trascorso dalla pubblicazione del suddetto
titolo ha permesso agli sviluppatori di effettuare diversi cambiamenti
al motore grafico tra cui citiamo una migliore gestione
dell’illuminazione e una maggiore stabilità complessiva,
anche se lontana dai 60 fps costanti promessi da Yoshinori Yamagishi
(permangono infatti alcuni sporadici cali di framerate nelle battaglie
più affollate). La maggiore attenzione riposta nella pura
programmazione è direttamente proporzionale alla maniacale cura
rivolta al character styling dei protagonisti: ogni personaggio ed il
suo equipaggiamento sono stati curati nei minimi dettagli rispecchiando
fedelmente la psicologia dei membri della Calnus, tutti
“unici” nei loro comportamenti come nel modo di vestire e
combattere. Da amare o detestare, senza vie di mezzo, la
caratterizzazione della ciurma che richiama fedelmente il peculiare
design degli anime nipponici anche se, sinceramente, Edge Maverick
(sosia senza licenza di Macaulay Culkin) difficilmente può
essere identificato come un capitano di vascello stellare: più
che 21 anni, sembra averne 15.

Gli effetti di pop up, rari e poco fastidiosi, scompaiono del tutto
tramite l’installazione su hard disk che, inoltre, velocizza i
già brevi caricamenti presenti nel passaggio da una mappa
all’altra. Lodevole la varietà degli ecosistemi che
andremo a visitare e la loro realizzazione grafica che
valorizzerà il senso di esplorazione dell’ignoto che
permea l’avventura della SRF-003. Montagne innevate, deserti,
giungle tropicali, villaggi medievali e pianeti ultra-tecnologici sono
solo alcune delle location che dovremo faticosamente attraversare e
ammirare nella loro particolarità. Se le ambientazioni esterne e
i centri abitati sono sempre gradevoli alla vista, lo stesso non si
può dire di alcuni dungeon e interni di edifici realizzati in
fretta e con poco attenzione ai dettagli, superficialità che si
riscontra anche nella grossolana realizzazione di molti npc.
Fastidiosissima, infine, la necessità di cambiare continuamente
dvd per spostarsi tra i vari pianeti alla fine del gioco.

La telecamera liberamente controllabile tramite lo stick analogico
destro facilita notevolmente l’esplorazione dei lunghissimi
labirinti e la risoluzione degli elementari enigmi necessari al
proseguimento dell’avventura, anche se occasionalmente può
causare problemi in ambienti eccessivamente ristretti. I viaggi sono
ulteriormente facilitati dalla presenza di un utile diario e dalla
comodissima minimappa che, per la gioia dei perfezionisti, riporta
anche tutti gli elementi d’interesse della zona come i punti di
raccolta, miniere e le tanto desiderate casse del tesoro, spesso
sigillate e sbloccabili solamente dopo aver acquisito un determinato
anello della disintegrazione.

Purtroppo la qualità complessiva del comparto grafico è
danneggiata dalle pessime animazioni dei personaggi e
dall’orrenda (forse sarebbe più corretto dire
“assente”) espressività facciale dei protagonisti
che, durante i numerosi filmati d’intermezzo, sembreranno
più delle bambole prive di vita che coraggiosi avventurieri
stellari.





Cento miliardi si stelle, una sola (brutta) lingua



La colonna sonora del quinto capitolo della saga è stata
affidata al solito Motoi Sakuraba, compositore veterano da sempre
collaboratore di tri-Ace e già autore delle musiche dei precedenti episodi e di Valkyrie Profile.
Tuttavia nonostante l’ottima base di partenza le ben 71
differenti tracce si rivelano semplicemente discrete, limitandosi ad
arrangiamenti delle storiche melodie della serie e a nuovi brani che
difficilmente cattureranno la nostra attenzione o diventeranno
monotone. L’ottima localizzazione nella nostra lingua, scevra da
errori (od orrori) di traduzione, è in aperta antitesi con un
lavoro di doppiaggio in inglese appena sufficiente (purtroppo niente
audio in lingua originale) e con una pessima gestione del lip-sync dei
personaggi.

Discutibile inoltre la scelta dei programmatori di racchiudere
l’evolversi della vicenda in pochi ma lunghissimi filmati
d’intermezzo (anche di 45 minuti) invece di optare per una
più breve e graduale presa di coscienza degli avvenimenti, che
avrebbe sicuramente giovato all’esperienza di gioco complessiva.
Un meritato plauso va fatto tuttavia alla realizzazione delle
cosìddette Private Actions (scene e dialoghi bonus da visionare
dopo aver soddisfatto determinati requisiti), sempre originali e
divertenti al contrario dei video legati alla quest principale, spesso
noiosi e prevedibili.





Una nuova speranza?



Star Ocean: The Last Hope riesce nell’arduo compito di
preservare la propria anima videoludica nello spietato teatro della
settima generazione: un’anima venerata dai fan della serie ma che
saprà farsi amare anche dai neofiti grazie alla sua
complessità scenografica e ad un gameplay che sembra non
risentire dell’età. Una realizzazione tecnica dalla
qualità altalenante non riesce a rovinare un’esperienza di
gioco profonda e coinvolgente che, seppur distante
dall’eccellenza manieristica raggiunta da Mistwalker con il suo Lost Odyssey, si distingue nell’inflazionato mondo dei gdr nipponici.

Partire con Edge “Macaulay Culkin” Maverick alla scoperta
dell’oceano stellare (e con Microsoft alla conquista dei
videogiocatori nipponici) è un viaggio che vale la pena
affrontare.

Calnus, engage!