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Recensione Recensione di Halo: Reach

Recensione di Halo: Reach di Console Tribe

di: Pasquale "corax" Sada

Quattordici, zero-nove, duemiladieci, si chiude un’epoca: Bungie lascia nelle mani di Microsoft la sua creatura più bella per volare verso nuovi orizzonti. Il franchise dell'”Anello” nasce nel 2001 con Halo: Combat Evolved, primo ed indimenticabile capitolo di una serie fortunatissima. La missione era semplice e chiara: sfondare nel mondo dei videogame con un titolo di punta in grado di rimanere nella memoria (e perché no, nelle mani) dei videogiocatori. L’impegno del team, il suo talento e le risorse messe a disposizione dalla la casa di Redmond generarono il primo vero successo del progetto Xbox. Un successo che ancora oggi rimane scritto nella storia del videogame con lettere cubitali. Ora, dopo quasi dieci anni, creatura e creatori dividono le loro strade per seguire percorsi individuali. A noi non resta che infilare per l’ennesima volta l’elmetto da guerra, rispolverare la corazza arrugginita e prepararci a massacrare l’alleanza Covenant.
Non per la gloria, non per la storia, non per la fama ma per onorare il sacrificio di un gruppo di amici, per questo noi oggi combattiamo.

Noble Team

Anno 2552, quando tutto ebbe inizio.
Reach è un pianeta dalla conformazione geofisica molto simile a quella della Terra. La sua atmosfera respirabile e un clima vivibile ne hanno fatto un luogo ideale per installare una piccola colonia umana. L’ultima, ad essere precisi. L’umanità, infatti, sta perdendo la guerra e l’UNSC (United Nations Space Command) ha deciso di spostare gran parte delle proprie truppe proprio su Reach. Qui giace l’unica speranza di non soccombere alla minaccia Covenant, l’alleanza aliena che ha come obiettivo principale quello di annichilire l’intera razza umana. Gli umani, dal canto loro, storicamente sono noti per la capacità di complicare ulteriormente situazioni già disperate. Di tanto in tanto, infatti, non mancano di scoppiare rivolte e sommosse nel cuore delle Colonie Esterne che scuotono il già fragile equilibrio politico e mettono in serio pericolo l’intera sopravvivenza della nostra specie. Spesso gruppi di coloni si organizzano per portare avanti le proprie idee, per cercare un modo diverso di vita, opposto a quello imposto dall’UNSC che come ultima risorsa del genere umano ha deciso di ricorrere alle maniere forti. Per sedare i focolai di sedizione è stata creata un’unità speciale chiamata Spartan, soldati altamente addestrati capaci di costituire un esercito con pochissime unità. A loro l’indegno compito di mettere a tacere i propri simili quando la loro voce raggiunge toni troppo agguerriti. All’atto della loro creazione nessuno poteva immaginare che sarebbero diventati l’unica e sola speranza di distruggere definitivamente la minaccia Covenant. Raccontare come gli Spartan si siano trasformati da sentinelle ad eroi è compito di Halo: Reach.

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È bene metterlo subito in chiaro. Halo: Reach è il primo titolo – se si esclude lo spin-off ODST – a non avere come protagonista Master Chief. Ci verrà consegnata tra le mani una giovane e promettente recluta che sarà identificata semplicemente con il nome di Noble Six. È il suo primo giorno nella squadra speciale Noble, team famoso per la qualità dei suoi elementi e per le sue azioni eroiche. La missione a cui sono stati assegnati questa volta sembra abbastanza semplice: il Noble Team dovrà indagare sulla scomparsa di alcuni operatori da una stazione radar. Ma quella che sembrava un’operazione di routine si trasforma in una tragica scoperta. I Covenant sono sbarcati silenziosamente su Reach e sono pronti a debellare la presenza umana una volta per tutte, distruggendone l’ultimo avamposto attivo. Toccherà quindi al Noble Team fare in modo che questo non accada. Da qui in poi parte un vero e proprio tour nei luoghi più interessanti e affascinanti di Reach. Bungie sembra non essersi preoccupata di creare un filo narrativo solido e coerente quanto, più che altro, di spostare il giocatore da una location suggestiva all’altra per fargli godere delle “bellezze naturali” e degli insediamenti umani presenti sul pianeta alieno. Solo da metà in poi il succo narrativo comincerà a sgorgare dall’impasto delle vicende con quello che potremmo definire un “secondo tempo cinematografico”. L’importanza del Noble Team e della sua missione comincerà pian piano a prendere corpo aggiungendo pathos alle vicende narrate e raggiungendo a tratti quel sapore epico a cui la serie Halo ci ha abituati. L’azione acquisterà sempre più ritmo e velocità fino alla conclusione finale, estremamente spettacolare ma banale e scontata, con un fastidioso effetto “telefonato” dovuto soprattutto alla campagna marketing di Microsoft che anticipa ampiamente (e fastidiosamente) il risultato ultimo dell’azione eroica del Noble Team.

Sicuramente ci saremmo aspettati da parte di Bungie una maggiore cura non solo nello sviluppo narrativo quanto nello sbozzare i personaggi. Master Chief è stato sostituito da un anonimo e poco carismatico Noble Six, che non riesce minimamente ad eguagliare i fasti del suo “predecessore”. Questo avrebbe dovuto lasciare enorme spazio al talentuoso team di sviluppatori per plasmare la figura dei cinque ragazzi Noble. Insomma, sarebbe bastata una maggiore attenzione alla caratterizzazione di questi guerrieri per farceli amare e ricordare per sempre. Purtroppo si è optato per una scelta più semplicistica ed eccessivamente riduttiva, ossia quella di appioppare una caratteristica ad ognuno di loro per renderli facilmente riconoscibili. Così ci troveremo davanti ad una serie di stereotipi (il comandante burbero, la donna col braccio bionico, l’estroso ragazzo col casco tatuato etc…) che difficilmente verranno ricordati a futura memoria. Altalenanti anche le scelte artistiche e la direzione generale delle cutscene: Bungie si è impegnata per dare ad Halo: Reach un gusto spiccatamente hollywoodiano con dei pregevoli tratti da grande colossal. Peccato che questo obiettivo venga raggiunto solo in parte: le scene d’intermezzo risultano belle e d’impatto ma nel complesso fanno largo uso di stucchevoli pose plastiche e si appellano ad una mitologia iconografica ormai ampiamente superata. È facile sulle prime lasciarsi colpire dal gusto tipicamente “Halo” che pervade l’intera direzione del titolo, ma è altrettanto facile sentirsene eccessivamente sazi dopo poche ore di gioco, come se il peso dell’intera saga piombasse a picco sullo stomaco del povero videogiocatore; complice anche l’assenza di veri colpi di scena e di situazioni fortemente eroiche che hanno fatto grande la saga. Dimenticate completamente gli splendidi momenti quando il guerriero solitario era in grado di tirare giù un mastodontico e abominevole Scarab senza battere ciglio. Bungie ha scelto soluzioni diverse che vi lasciamo il piacere di scoprire, ma siamo quasi sicuri che vi toglieranno gran parte del divertimento. Facile in questi casi è chiudere gli occhi e godersi il perfetto e calzante score musicale e il sublime doppiaggio che costituiscono il pregio maggiore del comparto d’intrattenimento di Halo: Reach. Se lo spettacolo per gli occhi potrebbe stancarvi, ebbene la controparte sonora, invece, regge ancora benissimo il centro del palcoscenico: passaggi epici si alternano a sottolineature techno-rock che, sebbene per alcuni possano risultare fuori luogo (fin troppo poco Halo), riescono comunque ad integrarsi nell’azione senza essere invasive.

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Remember Reach

Halo nacque con lo spirito di riformare il genere FPS ed in parte vi riuscì. Non solo sviluppando un gameplay nello stesso tempo semplice e gratificante ma soprattutto rivelando l’importanza del gioco online. Ad oggi la formula vincente sembra non volersi rinnovare, se non con l’aggiunta di qualche feature accessoria utile a rinfrescare l’intero gameplay. Il layout dei comandi è il classico della serie che si discosta apertamente da quello invece più usato da altri shooter. I due grilletti sono adibiti rispettivamente al lancio delle granate e al fuoco della nostra arma. Con un tasto è possibile switchare da arma primaria a secondaria, con facilità e velocità, mentre un altro tasto è adibito all’attacco corpo a corpo (sempre fondamentale in una struttura di gioco che permette il close quarter combat abbastanza spesso). La scope-view è attivabile solo per alcune armi, mentre la maggior parte dell’arsenale con elevata cadenza di fuoco non dispone di alcun sistema di puntamento se non il mirino classico a schermo. Se l’assenza dell’iron sight per qualche istante disorienterà quanti provengono da altri tipi di shooter, dopo poche sessioni di gioco diventerà quasi un pregio. Configurazione particolare anche per quanto riguardo la guida dei moltissimi mezzi che ci troveremo ad utilizzare (tornano vecchie conoscenze come il Warthog e fanno la loro apparizione alcune novità come l’elicottero e la nave spaziale). Bungie ha scelto comprensibilmente di riproporre il layout classico della serie, meno comprensibilmente ha deciso di non permettere alcuna personalizzazione al giocatore: acceleratore e freno sono posti sullo stick sinistro mentre il controllo del mezzo è affidato allo stick destro. I veterani di Halo non avranno alcun problema, mentre i nuovi arrivati dovranno litigare per alcune sessioni con un sistema di guida risalente alle prime generazioni di pad, finendo più volte in situazioni spiacevoli non necessariamente dettate dall’incapacità del giocatore. La curva d’apprendimento non è comunque elevatissima e si riesce in breve tempo a padroneggiare un sistema che avrebbe potuto essere più intuitivo.

Tra le novità rilevanti c’è quella di una completa ridefinizione del livello di difficoltà: il livello Normale è diventato abbastanza semplice da affrontare, mentre Eroico e Leggendario hanno subito un conseguente abbassamento della sfida. La presente recensione si baserà quasi esclusivamente sul livello normale che, alla luce dei quattro possibili livelli di difficoltà selezionabili, presumibilmente sarà la scelta classica per la maggior parte dei giocatori. Tuttavia le successive considerazioni sull’intelligenza artificiale vanno considerate in linea di massima come valide anche per le difficoltà più elevate, visto che le routine comportamentali non vengono totalmente riscritte al variare del livello di sfida. A cambiare sicuramente è quest’ultimo, dando una percezione diversa del valore dell’intelligenza dei nostri avversari. Consigliamo quindi a quanti hanno una certa esperienza di iniziare la campagna dal livello Eroico, che costituisce finalmente una difficoltà abbordabile per buona parte dei giocatori, ponte intermedio tra una Normal troppo facile e un Leggendario frustrante e cattivo. Ovviamente il numero di ore di gioco varia, proprio in linea con la sfida che Halo: Reach ci pone davanti: a Normale si può completare l’intera caduta di Reach in meno di sei ore senza mai morire (se non fosse per sporadici punti strategici ingolfati di nemici super-equipaggiati), qualche ora di più (e più divertimento) per eroico, mentre sicuramente oltre il doppio delle ore per Leggendario, che comunque rimarrà proibitivo per la maggior parte dei giocatori.
Fatta questa doverosa premessa, passiamo all’analisi dell’intelligenza artificiale che è stata pesantemente rivista, nonostante conservi eccessive soluzioni naif.
Halo ripropone lo schema di gioco che ha fatto grande la serie: un approccio easy e certo non simulativo alla guerra, fatto soprattutto di frag e veloci run in copertura per il recupero dell’armatura. Scaricare l’intero arsenale di armi umane e Covenant non è mai stato così semplice, tanto più che ora abbiamo a disposizione un set di strumenti mortali più nutrito, divertente ed efficace. Torna il sistema doppio per la salute, già visto in Halo 3: ODST: il nostro Spartan sarà protetto da uno scudo che si indebolirà man mano che i colpi nemici lo bersaglieranno. Sotto una certa soglia lo scudo scomparirà, lasciando il povero soldato in balia di danni permanenti alla barra della salute. Quest’ultima, infatti, a differenza dello scudo, non si ricarica automaticamente ma dovrete procurarvi dei life-pack appesi qui e lì nelle mappe in posti strategici.

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Migliorato, potenziato e ingrossato, invece, l’arsenale di armi umane e Covenant con aggiunte non di secondo piano che rendono divertenti e appaganti le battaglie. Il ritorno alle origini riguarda anche il sistema che vede impugnare un’arma per volta come nel primissimo Halo: Combat Evolved. Bungie si è impegnata per fornirci una buona dose di strumenti mortali dall’ottimo design, probabilmente conscia che è questa uno dei punti di forza del suo titolo. Halo non richiede grandi strategie ed elaborati piani, quanto una buona mira e ottimi riflessi. La stessa programmazione dell’I.A. corrisponde a questi dettami. Non aspettatevi dalle forze Covenant soluzioni frutto di ragionamento strategico; pattern comportamentali efficaci, potenza di fuoco massiccia e qualche soluzione semplicistica ma efficiente sono i punti di forza dell’alleanza aliena. Nel dettaglio possiamo dire che i Grunt continueranno a sparacchiarvi senza senso alcuno, provando timide manovre di aggiramento (frutto più della grandezza delle mappe che delle decisioni nemiche), fino a fuggire in preda alla paura quando messi alle strette. I Jackal (e i pochi Brute) non costituiscono quasi mai una sfida, limitandosi a fraggare i poveri Spartan e ad avvicinarsi per colpi melee. Gli Hunters e gli Elite sembrano essere gli avversari che si sono migliorati di più, soprattutto i secondi: dovrete ancora sorbirvi la breakdance evasiva che utilizzano per schivare i colpi ma, nonostante questa mancanza di realismo, sono la maggiore sfida presente nelle fila Covenant. Nei gradi di comando più alti sono in grado di evitare quasi ogni colpo (comprese le granate) e vi attaccheranno con ferocia inaudita. Le battaglie saranno quindi principalmente condizionate dall’eccellente level design (arte della quale Bungie rimane senza rivali) e dalla quantità dei nemici che costituisce la vera sfida contro cui confrontarsi. Con l’amaro in bocca e moltissimo disappunto, però, dobbiamo segnalare un’inaspettata pessima programmazione dell’intelligenza artificiale dei nostri compagni. Mai efficaci, sempre fuori dall’azione o impegnati in azioni futili e sciocche, disturberanno la maggior parte delle volte il vostro gioco più che garantire una sorta di immersività con valori di squadra. È severamente sconsigliato lasciar guidare i mezzi ai nostri alleati per evitare di incappare in sequenze tediose e frustranti. Più che in guerra vi troverete nei panni di un istruttore alla motorizzazione mentre viene sballottato dal pivello di turno con strappi alla frizione, manovre suicide e percorsi senza senso. Una pecca che davvero non ci saremmo aspettati in una produzione del genere.

Insomma, Halo: Reach rimane il caro vecchio Halo che entusiasmerà tanto i fan della serie pur non aggiungendo nulla di sostanzialmente nuovo, fatta eccezione per i poteri armatura. L’aggiunta dello scatto e delle altre abilità conferite dagli equipaggiamenti rinnovano solo parzialmente un gameplay che, almeno per quanto riguarda la campagna offline, fondamentalmente non si rinnova dalla sua prima incarnazione. Durante l’avventura potremo dotare la nostra armatura di diversi poteri che ci aiuteranno in battaglia: il già accennato scatto che permetterà al nostro Spartan di correre, il jet pack, l’armor lock che ci renderà invulnerabili per qualche istante e lo “scudo-bolla” portatile. Anche se questi potenziamenti risultano ben integrati nel gameplay e tolgono polvere da una formula rodata, ci saremmo aspettati un utilizzo più estensivo, soprattutto per lo spettacolare jet pack, il cui uso è purtroppo limitato a pochissime sezioni di gioco (ottimamente gestite), forse conseguenza diretta della brevità della campagna. Ben altro peso rivestiranno gli equipaggiamenti nella controparte online che, come vedremo, aggiungono al gameplay notevoli possibilità strategiche e tattiche per il giocatore.

!==PB==!
Experience

Da quanto illustrato finora, appare evidente come il nuovo capitolo della saga Halo porti con sé novità ma anche alcune scelte decisamente discutibili. Eppure Halo: Reach riesce comunque a segnare un punto di svolta e ad attestarsi come un grande titolo e la ragione dietro questo, apparentemente strano, discorso si riassume in due semplici parole: online experience. Quello che a Reach manca nella sua componente singola è ampiamente controbilanciata dal suo comparto online che, non a caso, è da sempre il punto di forza del gioco. Siamo sicuri che chiunque abbia una Xbox e una connessione a banda larga abbia provato, almeno una volta, il multiplayer della serie Halo e la portata del suo gameplay.
Per introdurre l’argomento abbiamo usato la parola experience, questa scelta non è stata casuale o dettata da ragioni stilistiche ma semplicemente è la parola migliore che viene in mente nel descrivere questo aspetto del gioco. Il multiplayer di Halo: Reach si deve vivere, si deve testare sulla propria pelle per avere un’idea di cosa si ha di fronte. Suonerà pretenzioso e forse anche fazioso ma, quando si parla di online, non esistono titoli che offrono una simile completezza, il termine di paragone per Halo è Halo stesso. Sul fronte del gameplay il salto di qualità che Halo 3 aveva semplicemente abbozzato (tanto da risultare per molti un Halo 2.5), qui si fa concreto e rivoluzionario. La varietà portata dagli innovativi equipaggiamenti danno un boost non indifferente all’aspetto strategico del multiplayer online. La capacità degli sviluppatori si concretizza soprattutto nel bilanciamento di questi potenziamenti. Il rischio, quando si introducono simili power-up, è quello di portare il giocatore a fossilizzarsi su pochi di essi, ritenuti più efficaci, ignorando gli altri. Non è questo il caso per fortuna. La scelta dell’equipaggiamento non solo varia dinamicamente in funzione della mappa e della modalità di gioco, ma anche all’interno di una stessa partita per meglio rispondere allo stile tattico adottato dagli avversari. Questi, a loro volta, faranno lo stesso dando vita a un continuo cambiamento che vede nella scelta della corsa, del jetpack, dell’invulnerabilità, degli ologrammi, dell’invisibilità, ecc. un progressivo evolvere delle manovre di attacco e difesa.
In termini decisamente più pratici il multiplayer è fornito di ben dodici modalità con relative varianti su nove mappe a disposizione. Questa la base per le partite classificate ma, passando alle partite private, non esistono limiti di personalizzazione se non quelli dettati dalla vostra fantasia. La stragrande maggioranza dei giocatori non faticherà a riconoscere alcune delle modalità che hanno fatto storia, alcune delle quali forgiate dai giocatori stessi nei passati capitoli della serie, standardizzate e fatte proprie da Bungie in base ai numerosi feedback. Su tutte la modalità SWAT: nessun rilevatore di presenza, niente granate, scudi abbassati ed efficacia solo per i colpi alla testa. Parola d’ordine: precisione. Non mancheranno comunque modalità del tutto nuove, impossibile non nominare la modalità Teschi che di fatto crea un sistema di gioco innovativo e divertente: sparsi per la mappa ci sono appunto alcuni scalpi fiammeggianti e il giocatore ha il compito di portarne quanti più è possibile in determinati punti dell’arena di gioco. Fin qui tutto appare molto semplice, ma entrando nel vivo si sente come questa modalità sia profonda e ben strutturata. Ogni qualvolta elimineremo un avversario, questi lascerà cadere i teschi in suo possesso e, come se non bastasse, con l’aumentare dei teschi anche la nostra visibilità sull’HUD di gioco aumenterà, rendendoci vittima prediletta di gran parte dei giocatori. Altra interessante modalità è Infezione, nella quale un giocatore armato della Spada degli Elite potrà rendere dei non-morti gli altri giocatori che, ovviamente, tenteranno di eliminarlo armati solo di fucile a pompa. Da citare anche delle vere e proprie corse a bordo dei veicoli del gioco che, seppur non rappresentino il piatto forte, sono sicuramente gradite. Si tratta di modalità sui generis e innovative che assicurano un confronto vario e interessante ma, come sempre, saranno i giocatori a fornire il responso finale sulla validità di queste soluzioni. Bungie non è nuova a rimodellamenti in corso delle modalità di gioco per rispondere alle esigenze dei giocatori, per cui, paradossalmente, potreste essere voi stessi a porre le basi per nuove modalità sbizzarrendovi con editor e personalizzazione dei match. Sempre a supporto dell’interazione utente-gioco, il sistema di votazione nelle partite classificate prevede la scelta tra alcune proposte in cui sono associate mappe e modalità differenti. Al solito la maggioranza vince ma la differenza sta nella possibilità di variare in corsa il proprio voto e nella possibilità di votare per richiedere ulteriori opzioni se nessuna di quelle proposte risulta soddisfacente ai più.

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Le mappe di gioco, come da tradizione, hanno un’intelligenza intrinseca che permette al giocatore di scoprire sempre nuove soluzioni per manovre di evasione, copertura o appostamento. In Reach è forte il richiamo di Halo 2, infatti nascoste come microcosmi nella megamappa di Forge, ritroviamo ben tre delle mappe storiche del secondo capitolo. Purtroppo però, il fatto stesso che siano state riproposte come parti integranti di una mappa più grande, dal punto di vista grafico ne ha fatto perdere la caratterizzazione molto più curata ed evocativa nelle versioni originali. Una quarta mappa ripresa da Halo 2 (Ivory Tower) vede invece una completa revisione grafica e dei dettagli, anche qui però l’impatto non è dei migliori e, ancora una volta, al contrario di quanto avviene solitamente per queste operazioni di restyling, si ha la sensazione che la mappa originale fosse meglio caratterizzata.
Nel complesso delle innumerevoli modalità che permettono ai vari giocatori di interagire, la parte cooperativa non è stata affatto trascurata. È possibile affrontare la campagna fino a 4 giocatori come in Halo 3, tuttavia visto il contesto che vede il Noble Team in azione, ci saremmo aspettati la possibilità di impersonare uno dei 6 Spartan a scelta, invece ci ritroveremo ognuno nelle vesti di Noble Six come tanti cloni.
Dopo aver fatto la sua comparsa in Halo: OSDT, ritorna ora Sparatoria, stavolta con un matchmaking di addirittura sedici giocatori. Il cambiamento si fa sentire, infatti, complice il maggior numero di player, Sparatoria è ora più competitiva e prevede un gran numero di Covenant in più da abbattere. Le opzioni per modificare il match con relativi aiuti o impostazioni per variarne la difficoltà, assicurano scontri sempre vivi e divertenti.
Sempre sul fronte delle modalità in cui è possibile cooperare, Bungie ha operato un ulteriore salto di qualità, perfezionando la modalità Fucina, una sorta di “Little Big Halo” in cui il giocatore, tramite un corposo editor, potrà crearsi da solo un’intera arena di gioco da condividere poi con altri giocatori online. Se questo sembra poco è inoltre possibile invitare fino a quattro amici in questa sorta di cantiere virtuale sia per migliorare il processo di realizzazione sia per rendere il tutto ancora più divertente e appassionante.
Da non dimenticare inoltre la modalità Cinema che vi permetterà di rivedere i vostri ultimi incontri, decidere di salvarli per intero o estrapolando le vostre sequenze preferite. I controlli per la visione sono anch’essi migliorati e sarà facile individuare e memorizzare velocemente le vostre azioni di gioco. Sarà poi possibile condividere immagini e video con gli altri possessori del gioco direttamente su 360, oppure inviarli al sito della Bungie per la visione comune. Per godere però dei filmati in alta risoluzione e della possibilità di condividerli con chiunque, è necessario un abbonamento al servizio Bungie Pro.
L’esperienza quindi continua a vivere anche quando non stiamo giocando, anche quando siamo fuori da Reach. Accedendo al portale messo a punto da Bungie, c’è un intero mondo online che accompagna le nostre scorribande e sparatorie avvenute in-game. Ogni qualsivoglia statistica (anche della campagna) è curata alla perfezione, fornendoci in tempo reale tutte le informazioni sia sul nostro alter-ego che di qualunque altro giocatore, a patto di conoscerne la tag. Il lavoro svolto in questo senso è magistrale e porta a immergersi totalmente nell’online di Reach trasportandoci in un mondo vivo e dinamico fatto dei suoi eroi e delle sue vittime.
Halo: Reach gode di un multiplayer a 360 gradi che invoglia il giocatore attraverso ogni sua componente, dalla gestione dell’alter-ego fino ad arrivare all’introduzione della Fucina; in poche parole da solo giustifica il prezzo del biglietto. Pardon, del gioco.

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Sparkling galaxy and gloomy cities

Come dicevamo più sopra, Bungie si è preoccupata di farci visitare una serie di luoghi che caratterizzano, o almeno lo fanno in parte, la colonia di Reach. Il motore che regge tutto il comparto visivo è tecnicamente lo stesso di Halo 3, anche se sappiamo che il team americano ha apportato così tanti e pesanti cambiamenti da farne di fatto uno strumento del tutto nuovo. I risultati sono evidenti: la saga fantascientifica più amata dai videogiocatori Microsoft approda finalmente all’alta definizione, migliorando ulteriormente il sub-hd del suo predecessore e annesso spin-off. Texture definite, modelli poligonali quasi perfetti e animazioni curate, sono le spie più evidenti di questo passo in avanti. Certo, Halo conserva uno spirito creativo che è figlio del passato, forse troppo. La colonia di Reach è di fatto un nuovo pianeta e questo avrebbe potuto favorire l’introduzione di elementi nuovi ed interessanti. La colonia umana è fondamentalmente una riproposizione di idee ampiamente sfruttate in ODST e nei precedenti Halo. Spazi aperti poco dettagliati, brulli, desertici e montuosi si alternano a città fredde, poco caratterizzate, spoglie e senza anima. Bungie si è limitata a quel misto di fantascienza, tratto dai comics statunitensi e mescolanze pseudo realistiche senza intervenire minimamente su luoghi, bestiario e atmosfere. I Covenant dispongono finalmente di fisionomie riconoscibili e di movimenti più completi e credibili, anche se alcune movenze e pattern d’azione rimangono ancora troppo stilizzati. Gli Spartan non hanno subito un grosso miglioramento, risultando però più dettagliati e “vissuti”. Le cicatrici che di solito ogni guerriero si porta addosso, sono state trasferite sull’armatura, mimando i risultati di mille sanguinose battaglie. Peccato che poi, in fin dei conti, l’effetto generale vada perso negli scontri a fuoco, dal momento che l’aspetto realmente visibile durante l’azione rimane lo stesso visto nei precedenti Halo, comprese movenze e pose d’attacco. Comunque queste piccole accortezze aggiungono qualcosa alle già precise e coinvolgenti cutscene.

Nonostante le mancanze creative, l’atmosfera generale non ne risente in modo eccessivo, grazie soprattutto alla buona costruzione delle location e ad una gestione delle luci praticamente perfetta. Halo: Reach è sicuramente il titolo più “sfavillante” della serie grazie a una manciata di luminescenze colorate e sgargianti che vanno dai neon viola alle brillantissime granate al plasma. Peccato che Bungie non sia riuscita quasi mai realmente a costruire un universo credibile e coinvolgente nel quale dare ampio respiro all’azione di Noble Six. Pochi livelli si discostano dal piattume generale che purtroppo non riesce minimamente a raggiungere le aspettative generate da questo titolo. Una menzione a parte va fatta per i livelli che ci trasporteranno ad alta quota: entrambi riescono a spezzare la linea di ripetitività e monotonia che si genera durante l’avventura, soprattutto quando ci troveremo a volare negli spazi siderali per abbattere una nave da guerra nemica. Le meravigliose luci dell’universo, l’imponente corpo del mostro metallico nemico e la piccola agilità del nostro fragile vascello, ne fanno un pezzo da antologia, quantomeno dal punto di vista visivo.

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Reach the end

Bungie chiude in bellezza una serie di successo, conservando il suo particolare e riconoscibilissimo carattere. Certo, era lecito aspettarsi qualcosina di più dal triste addio dei creatori della serie, nonché dalla maggiore esclusiva Microsoft dell’anno. Bungie ha finito per essere vittima di sé stessa e della sua creatura, chiudendosi in una gabbia d’oro. Se sulla scatola fosse applicato un bollino con il quale si precisa che “per godere a pieno del titolo è assolutamente necessaria una connessione ad internet e un abbonamento Gold ad Xbox Live” probabilmente Reach avrebbe meritato un risultato vicino al perfect score. Così non è, e siamo costretti a valutare una campagna portata avanti con sciatteria in più punti (nonostante qualche brillante soluzione) e con mancata volontà creativa, che si pone come una vera e propria ingiustizia nei confronti dell’immenso universo Halo. La saga che ha dato i natali a Master Chief, generato libri, anime e un RTS meritava qualcosa di più, soprattutto per rispetto a quanti si sono fatti trasportare dal racconto delle epiche battaglie contro i Covenant.
Remember Reach? Ci faremo la stessa domanda tra qualche anno per darci una risposta più precisa.