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Recensione Recensione di God of War III

Recensione di God of War III di Console Tribe

di: Pasquale "corax" Sada

È genetico per ogni sequel portare sul proprio volto, come un marchio, il ricordo del passato. La memoria è indubbiamente un meccanismo affascinante in grado di associazioni stupefacenti e inaspettate; la memoria è soprattutto involontaria. God of War III doveva confrontarsi con l’eredità dei due titoli che l’hanno preceduto, un fardello scomodo, difficile da sopportare.
Il secondo capitolo della saga, circa tre anni fa, ha rappresentato il culmine delle possibilità di sviluppo su PlayStation 2, ponendosi come la fine memorabile per una delle console più amate della storia del videogame. Era difficile, ma non impossibile. Le spalle massicce di Kratos hanno portato il peso della condanna dell’Olimpo ed ora si apprestano ad affrontare una sfida anche più ardua: il giudizio crudele (e a tratti volubile) della moltitudine di videogiocatori, divisi inevitabilmente in detrattori ed amanti appassionati. Seguiteci sul sentiero dei Titani, lo scontro finale è appena iniziato.

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Sins of our father

Tre anni fa avevamo lasciato Kratos abbarbicato sulle spalle di Gaia, pronto a portare la guerra fin sotto il trono dell’Olimpo. Ed è esattamente lì che lo ritroviamo, con lo stesso sguardo truce e la stessa determinazione. Anzi il lasso di tempo (ovviamente trascorso solo per noi) sembra avergli fatto addirittura bene, assicurandogli un’ulteriore dose di rabbia che lo rende ancora più pericoloso. Kratos deve portare a termine quest’ultima fatica, vendicare la sua famiglia e finalmente ritornare in pace con sé stesso.
Dall’altra parte della barricata c’è Zeus, re delle divinità olimpiche, avversario e padre dello spartano cinereo che ovviamente non ha nessuna intenzione di farsi ammazzare dal figlio illegittimo. Lo scontro ha già fatto numerose vittime, tra le quali la stessa famiglia del Fantasma di Sparta. Anche gli Dei hanno avuto le loro perdite, che inevitabilmente si sono ripercorse catastroficamente sugli uomini, vittime e spettatori indifesi di questa lotta tra forze oltre la loro portata.
Già i precedenti episodi si erano contraddistinti per una certa linearità della trama che non si dirama per percorsi contorti ma scorre sempre con una certa uniformità. L’obiettivo di Santa Monica è stato quello di mantenere questa impostazione, lasciando ampio spazio alla figura di Kratos e fornendogli un valido supporto nello svolgimento della trama. L’eroe spartano sembra ancor di più allergico alle mezze misure, incapace di scegliere una qualsiasi via di mediazione. Lanciato verso il proprio destino, si troverà a far fronte alle insidie di vecchie e nuove conoscenze che verranno archiviate tutte nella stessa cruenta maniera. Il cast, arricchito di presenze affascinanti come quelle di Ermes ed Efesto, snocciola al nostro guerriero brandelli della propria personale storia con esiti poco felici.
Kratos è un cavallo di razza al galoppo contro le forze divine, una macchina inarrestabile pronta a tritare qualsiasi pezzo di carne abbia il coraggio di frapporsi tra lui e la sua personale missione. Ognuno può immaginare quale sia la conclusione. È apprezzabile, invece, il “come” si arrivi alla fine. Santa Monica mette a disposizione del giocatore una narrazione che procede senza mai incagliarsi in sproloqui inutili, alternando brevi cut-scene esplicative realizzate con lo stesso motore grafico del gioco a sintetici ma efficaci flashback realizzati con una tecnica simil-fumettistica elegante e ricercata.

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God of War III è in grado di mettere a frutto l’aspetto granitico del suo protagonista, di incatenare il giocatore e trascinarlo senza mai annoiare fino alla fine, grazie anche ad un crescendo degli eventi mozzafiato. La camera di gioco aumenta questa particolare sensazione riuscendo a trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto. È un utilizzo particolare ed innovativo che aumenta il coinvolgimento dello spettatore, a cui è assicurato sempre un posto in prima fila. Santa Monica è riuscita ad unire sequenze in-game ed esigenze di racconto senza creare stacchi improvvisi. Un esempio perfetto è il primo incontro con la chimera: mentre siamo costretti ad operare con una catapulta, la sua coda di serpente occupa minacciosa lo schermo svelandone la presenza e mettendoci in allerta. La camera ci tiene sempre al centro dell’azione, a volte sganciandosi da Kratos, per darci una visione d’insieme, altre zoomando con forza sullo spartano per garantirci una perfetta visione. È sempre al posto giusto nel momento giusto, quasi diretta da una sapiente regia occulta.
L’aspetto da colossal hollywoodiano è favorito da un comparto sonoro di tutto rispetto; se sul doppiaggio è possibile esprimere qualche riserva, dovute soprattutto ad un’interpretazione non sempre in tema, la colonna sonora è, invece, eccellente. Pezzi veloci si alternano ad avvolgenti musiche epiche che conferiscono il giusto tono emotivo alle gesta di Kratos.

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Divino

Fiore all’occhiello di questa produzione è sicuramente il comparto tecnico, che già dalle scene iniziali mostra tutto il suo potenziale. È impossibile non tener conto della qualità eccelsa delle texture (salvo qualche sbavatura trascurabile), della perfezione dei modelli poligonali di primari e comprimari e della gestione delle luci che rasenta la perfezione, soprattutto grazie ad ombre calcolate con estrema precisione.
Esaurito il quantitativo massimo di tecnicismi consentito in una sola recensione, è bene vedere poi come tutto questo si traduca in termini di resa visiva; sicuramente siamo su vette mai raggiunte fino ad ora: Santa Monica ha scalato le pendici del monolite nero targato Sony ed è riuscita ad ottenere risultati inaspettati. La giostra d’effetti su cui poggia God of War III ha come come fulcro quel ritmo forsennato che accennavamo in precedenza, volto a mozzare di netto il respiro dello spettatore. Già l’intro presenta questa particolare mistura incalzante di immagini in movimento: trascinati sulle pendici dell’Olimpo, maestoso come i colossi che lo scalano, assisteremo al primo scontro tra Kratos e le divinità greche. Scelte artistiche e sapienza tecnica si fondono in una miscela esplosiva. I cavalli marini di Nettuno si generano in vortici d’acqua e si slanciano con tutta la loro massa ondina verso il Titano. L’eruzione dalle profondità del mare è tutta spuma e gocce che inondano ogni anfratto dello stage. Gli zoccoli pestano e squassano la superficie di Gaia che trema e geme. La battaglia già chiama con tutto il suo vigore, eppure sono passati solo pochi minuti dall’inserimento del Blu-Ray nel lettore.
È forse questo il punto di forza di God of War III che fa di questa impostazione un vero e proprio comune denominatore per l’intera produzione. Prima solo Shadow of Colossus era riuscito a portare un effetto così mastodontico sulle nostre console, con la differenza che questa volta la mole enorme di poligoni acquista una vividezza e un realismo capace di rendere estremamente credibile anche mostri mitologici come i Titani.

Ovviamente la cura dedicata all’impatto visivo delle battaglie si estende al level design in generale. Immaginate di uscire da un corridoio oscuro, dove vi siete aperti la strada grazie alla luce emessa dalla testa strappata ad Apollo. Provate a visualizzare un ballatoio di marmo, incastrato nella roccia viva. Per metà distrutto, ma ancora capace di restituire l’antica bellezza. Ed ora visualizzate al di là della cornice tutta la potenza della furia degli elementi che squassano una terra in preda al caos. Turbini che si alzano fino alle nubi, con code profonde che battono lande squarciate dal magma mentre una luce livida prova a farsi strada tra la coltre di polvere sulfurea. Questo è solo un esempio dei tanti paesaggi che è possibile vedere dagli scorci panoramici, posti in luoghi strategici.
È sorprendente scoprire che l’effetto visivo è realizzato interamente con il motore di gioco, senza alcun materiale pre-renderizzato, facendo da sfondo ad azioni concitate che non soffrono di alcun calo di frame.

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I diversi stage, che poi in realtà sono delle grosse location accessibili a livelli, sono stati concepiti con in mente una caratterizzazione precisa. Ogni luogo ha le sue peculiarità che lo contraddistinguono e lo rendono memorabile. Peccato dover segnalare alcune cadute di stile facilmente evitabili che in tanto realismo risultano come ingenue forzature: tra queste sicuramente la presenza delle anfore di terracotta che abbelliscono abbastanza genericamente gli scenari di gioco o l’assenza di una maggiore personalizzazione degli ambienti appartenuti alle divinità. Con questa eccellente cornice fa il paio un degno protagonista. Il lavoro effettuato su Kratos è encomiabile; è sicuramente il modello poligonale più curato dell’intero gioco, nonostante l’elevato livello degli avversari e dei comprimari. I ragazzi di Santa Monica si sono impegnati per rendere quanto più realistica l’immagine digitale dello spartano. E per nostra fortuna ci sono riusciti. In ogni azione è possibile vedere i muscoli flettersi prima di scoccare il colpo: dorsali e bicipiti si gonfiano sotto sforzo restituendo una sensazione di potenza devastante. La danza delle lame è stata resa ancora più fluida ed acrobatica, costruendo delle sequenze degne dei migliori action movie. La resa luministica delle Lame dell’Esilio (non più Lame del Caos, ndr) conferisce ad ogni scontro qualità pirotecniche in grado di far brillare l’ambiente circostante con colori accesi. Ovviamente gli scontri hanno un esito scontato: una vera e propria carneficina che lascerà lo spartano coperto del sangue dei vinti. Il bagno di sangue è una delle introduzioni gore più semplici e d’impatto. Tutto ha subito un restyling che prevede la fuoriuscita di budella dal ventre dei centauri sventrati, teste brutalmente mozzate e una simulazione degli schizzi di sangue che ricorda più lo zampillo di una fontana che le vene recise di un essere vivente. In fin dei conti le sequenze cruente pervadono ma non invadono il titolo che mantiene tutta la sua aggressività senza dover farne un uso eccessivo e disturbante.

There will be only chaos

Se dal punto di vista tecnico non ci sono grosse sorprese, grazie alle corpose anticipazioni e ai numerosi video rilasciati, il gameplay, invece, costituiva una grossa incognita. Quanto God of War sarà uguale a God of War? È questa la domanda che ha assillato fan e settore specializzato sin dalle prime notizie di sviluppo. Il secondo capitolo si è posto come modello per un certo tipo di action che ne ha sfruttato poi a fondo la formula. Per una conseguenza abbastanza logica, la stessa saga doveva cambiare per evitare che il frutto delle sue fatiche ormai abusato finisse per ritorcersi contro il suo creatore. È allora cambiato God of War? No, ma non è nemmeno vittima di sé stesso. I Santa Monica Studio sono riusciti a trovare il giusto compromesso per conservare l’identità del prodotto e allo stesso tempo aggiungere quel qualcosa che non renda il titolo stantio o noioso. La base sulla quale hanno costruito è quella oramai divenuta un classico: Kratos ha a disposizione due attacchi, leggero e pesante, con i quali potrà concatenare una serie di combo. I dorsali invece sono adibiti alla parata e all’utilizzo di tecniche che spiegheremo in seguito. La schivata è purtroppo ancora controllata dall’analogico destro, che fa il suo mestiere ma risulta uno strumento impreciso se paragonato al layout di altri action.

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Su queste fondamenta sono state innestate delle novità in puro stile Santa Monica. La prima e più evidente è l’utilizzo dei nemici. In questo capitolo la rabbia di Kratos è diventata incontenibile e non si farà scrupolo di utilizzare i suoi stessi nemici come strumenti di morte. Il guerriero spartano potrà afferrare uno dei malcapitati scheletri che gli si parano davanti ed utilizzarlo come ariete contro i suoi stessi compagni per poi chiudere lanciandolo fuori dallo stage o sfracellandolo contro i muri circostanti.
Le grappling moves sono state ulteriormente potenziate permettendo la concatenazione di una o più mosse per massimizzare i danni. Così l’avversario, dopo essere stato afferrato dalle nostre lame, potrà essere atterrato e finito con una scarica di pugni mortali. Troppo spesso, soprattutto nella poco impegnativa difficoltà normale, si ha la sensazione che questa messa a punto abbia reso Kratos eccessivamente forte rispetto ai suoi nemici che rispondono solo con il “numero”; in alcuni casi, un’orda di scheletri non sarà nient’altro che un parco giochi per il canto metallico delle Lame dell’Esilio.

Ad un parco mosse aggiornato corrisponde anche uno svecchiamento delle armi utilizzate. Abbiamo già fatto notare che le Lame del Caos sono state sostituite con le Lame dell’Esilio, che gli somigliano in tutto e per tutto. Più interessante il resto dell’arsenale che prevede oltre a Cestus (una variante dei guanti di Zeus visti in Chains of Olympus) e gli artigli di Ade, la frusta di Nemesis, stuzzicante new entry grazie alle sue combo spettacolari e alla frenetica velocità che introduce nell’azione. Ad ogni arma è univocamente collegato un potere attivabile alla pressione del grilletto destro, ed è possibile uno switch in corsa dell’arma grazie alla pressione del tasto X, che diventerà utile con il progredire della storia e l’arrivo di tipologie complesse di avversari. In alcune battaglie ci troveremo di fronte ad una marmaglia eterogenea direttamente prelevata dal ricco bestiario che ci costringerà a scegliere e modificare l’arma giusta per migliorare l’efficacia dei nostri colpi. È un sistema che aggiunge non solo dinamicità all’azione ma richiede anche un minimo di scelte strategiche: ogni volta che avremo a disposizione quattro o cinque soluzioni disponibili per sbarazzarci dei minions, starà alla nostra bravura e al nostro stile di gioco scegliere quella che preferiamo. Ovviamente siamo sotto gli standard settati da altri action più tecnici. Come per i precedenti capitoli basta memorizzare un numero minimo di combo tra le più efficaci per affrontare buona parte degli scontri che, soprattutto nelle prime due difficoltà, sono sempre accessibili anche ai meno esperti. Chi non ha una lunga storia con questa tipologia di giochi difficilmente troverà sezioni eccessivamente frustranti e potrà arrivare alla conclusione senza penare troppo.

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Per la mia rabbia enorme mi servono giganti

Marchio di fabbrica della serie sono sicuramente le spettacolari finisher in Quick Time Event che permettono di liquidare con stile e rapidità boss e mini-boss. Da questo punto di vista non c’è stata alcuna introduzione sostanziale se non un ulteriore aumento del tasso di gore; se avete trovato terribili e sanguinarie le passate finisher, queste potrebbero abitare i vostri peggiori incubi, vista la palese volontà di Kratos nel demolire fino all’ultimo osso i suoi avversari. I QTE non richiedono mai una perfetta tempistica e si limitano a darci una soluzione estremamente coreografica a problemi che potrebbero rivelarsi troppo grossi anche per Kratos. Va fatto, però, un appunto circa il suo utilizzo in rapporto a boss e mini-boss. Se per i primi si limitano a sostituire le sequenze cinematiche d’effetto, per i secondi il QTE ha dei risvolti particolari. Il bestiario si è arricchito con figure mitologiche che costituiscono per il Fantasma di Sparta dei divertenti strumenti di morte. Affrontare una chimera non significa semplicemente bombardarla con i nostri colpi, ma è necessario sezionarla in ogni animale che la compone: prima la coda di serpente, poi la testa di leone ed infine il corno caprino che troverà una nuova sede nell’occhio della povera bestia. Ogni parte del corpo va smembrata con un QTE sbloccato da un certo numero di colpi. Altre tipologie di nemici, invece, si presteranno ad essere cavalcate per poter essere dirottate contro i nostri avversari. È una sensazione impagabile quella di controllare un mastodontico Ciclope per poi scagliarlo contro un orda di scheletri oppure ingaggiare una battaglia all’ultimo sangue contro un altro Ciclope rimasto libero. Capiterà anche di cavalcare indomiti Cerberi che ci aiuteranno a spianarci la via sputando fuoco dalle loro tre teste di cane. Peccato che questa particolare intuizione non sia poi sfruttata a dovere e si risolva in poche sessioni se confrontate con gli scontri classici.

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Da Prince of Persia a Ico

Puzzle solving e platform sono il passatempo preferito di Kratos che tra una battaglia e l’altra si diletta nella risoluzione di enigmi elementari oppure nel trovare un sentiero percorribile tra un intricato groviglio di piattaforme cadute o appigli improvvisati. Questa rappresenta sicuramente la sezione del gameplay più scontata e con meno carattere, con l’ovvio compito di riposare le mani del giocatore e fare da intermezzo alle battaglie che potrebbero risultare ripetitive. Questa volta Santa Monica ha attinto a piene mani dai titoli più famosi del genere, ispirandosi a vecchie glorie e ripercorrendo parte della sua stessa storia. Se non mancheranno una buona quantità di puzzle ad incastro, facilitati dall’introduzione di una corsetta tonica che permetterà a Kratos di spostare i pezzi più velocemente, fanno timidamente capolino elementi ispirati a Prince of Persia e una citazione della cooperazione tra due personaggi per puzzle solving vista in Ico. Non manca un tentativo di sfruttare in modo più o meno originale le ali di Icaro: saremo costretti a volare dentro lunghe torri pericolanti schivando gli oggetti in caduta libera e travi di sostegno con sequenze ad alto tasso adrenalinico. Una buona miscela fondamentalmente abbastanza rodata che gli sviluppatori hanno provato ad arricchire con l’introduzione di alcuni poteri che Kratos ruberà agli Dei dell’Olimpo: attraverso la pressione del grilletto sinistro in combinazione con uno dei quattro tasti sarà possibile sfruttare abilità che pian piano ci aiuteranno anche ad aumentare la scarsa interazione con l’ambiente (purtroppo nessuna delle nostre azioni creerà danni alle zone circostanti). I sandali di Ermes sbloccheranno una variante della wall-run classica che ci porterà in zone altrimenti inaccessibili, mentre l’arco di Apollo (sostituto infuocato dell’arco di Tifone) sarà utile per incendiare e far esplodere vasi colmi di carboni ardenti. Fondamentalmente lo schema classico si ripete in ogni stage: troveremo nuovi poteri che dovranno essere utilizzati per crearci un passaggio alla location successiva. L’eccessiva carenza di innovazione del comparto adventure è giustificata solo dal suo valore accessorio e da un sapiente dosaggio che non la rende mai troppo ripetitiva, anzi aiuta le undici ore necessarie a completare il gioco a scorrere con maggiore fluidità.

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Rest in peace

Kratos è diventato una bestia nera, una forza distruttiva in grado di cancellare la faccia conosciuta della Terra. È la somma dei mali, il messaggero della morte e l’ultima minaccia per le divinità Olimpiche. Il suo potere devastante non ha rivali e non conosce rimorso, pronto a cancellare tutto ciò che si para sul suo cammino. Fuori dalla finzione del videogame, God of War III rappresenta esattamente l’espressione delle qualità del suo protagonista. Se da una parte è criticabile l’assenza di una vera e propria rivoluzione, dall’altra sono encomiabili le innovazioni che rinfrescano – ma non snaturano – la formula di gioco. Santa Monica è riuscita a sbaragliare la concorrenza fatta di cloni, facendosi terra bruciata attorno.
Dopo l’ultima fatica di Kratos, su questa linea, c’è il vuoto, ed è necessario che si aprano nuove strade. A noi non resta che seguirlo sul suo cammino, prestare cuore e dita alla sua vendetta e piegare in un bagno di sangue l’ultimo pezzo intatto delle mura dell’Olimpo. Tremi Zeus e piangano i suoi figli, l’ombra nera del Fantasma di Sparta ha iniziato la sua danza di morte.