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Recensione Recensione di El Shaddai: Ascension of the Metatron

Recensione di El Shaddai: Ascension of the Metatron di Console Tribe

di: Pasquale "corax" Sada

Enoch è una delle figure più controverse e complesse della tradizione cristiana. Riconosciuto come bisnonno di Noè, viene anche annoverato come autore dell’omonimo Libro di Enoch, testo apocrifo per gran parte dei gruppi cristiani, eccettuata la Chiesa Ortodossa Etiope. Buona parte della controversia risiede nella ricca e immaginativa storia raccontata, che prende a protagonisti sette angeli guardiani, caduti dal cielo per dare vita ad una razza semidivina chiamata Nephilim. Fantasioso, complesso e ostico, il libro di Enoch non sembrerebbe materiale per dare vita ad un prodotto di intrattenimento leggero. Takeyasu Sawaki è riuscito, invece, a vedere nel materiale narrativo una certa forza, che poteva essere sprigionata con un approccio creativo tutt’altro che semplice e conformista. El Shaddai: Ascension of the Metatron nasce, quindi, sotto fausti auspici che, però, mal nascondono la spada di Damocle appesa sulla sua testa. Una prova difficile che testerà forza e arditezza non solo del nostro protagonista, ma anche del suo creatore. Proprio l’audacia è, forse, la caratteristica che meglio sintetizza tutta l’ambiguità di un progetto simile. Sawaki ha dovuto operare delle scelte non facili che si sono trasformate in “prese di posizione”. Azzardi che hanno pagato a metà.

Ascension of The Metatron

Procediamo con ordine. La base narrativa rimane immutata, anche se i protagonisti e l’ambientazione generale viene sviluppata con una certa libertà. Enoch è un guerriero che, convocato da Dio per mezzo di Lucifel, ha come missione quella di identificare e distruggere sette angeli caduti in disgrazia. La clemenza divina gli concede per combattere il male una splendida armatura bianca, ma nessuno strumento di morte. L’”Etterno Bene” non possedendo le stesse possibilità del male non è in grado di fornire oggetti atti a ferire. Sarà lo stesso Enoch a doversi procurare le armi nelle corso delle battaglie, strappando ai minions degli angeli caduti gli splendidi artefatti costruiti dalla loro perversa morale.

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Siamo già di fronte ad uno dei primi passaggi angusti, attraverso i quali Sawaki ci costringe a passare. El Shaddai ha uno splendido approccio minimalista che riempie e cattura il colpo d’occhio ed è giusto che il gameplay stesso risponda a questa sua natura fondamentale. È pur vero che a volte bisogna essere in grado di scendere a compromessi, senza avviarsi su sentieri fondamentalisti autolesionisti. Il game designer aveva anticipato che il titolo sarebbe stato molto “giapponese” come impostazione, non piegandosi per nulla al gusto occidentale/europeo. Una scelta di stile che purtroppo finisce per crollare miseramente in una sorta di impoverimento dell’esperienza generale. Enoch avrà a disposizione un solo tipo d’attacco che, al variare della tempistica di pressione del tasto, creerà coreografie diverse. I dorsali sono, invece, adibiti ad una mossa speciale e alla purificazione delle armi angeliche per renderle più efficaci. Se si esclude un ultimo controllo per il salto, il resto del parco tasti/grilletti rimane totalmente inutilizzato, a testimonianza di occasioni inespresse. Potremo portare con noi una sola arma e dovremo di volta in volta adattare il nostro stile di gioco al nuovo strumento, nell’attesa di poter strappare a qualche malcapitato il suo strumento mortale. Sono, comunque, solo tre le armi che popolano l’universo di El Shaddai: la Corona Divina (una sorta di riproposizione di quella vista in Okami) in grado di sparare proiettili, lo Scudo in grado di diventare un paio di devastanti guantoni e l’Arco Lucente, una sorta di lama di falce utile a strappare le teste dei nemici. Su questa già flebile variazione si innesta un’ulteriore limitazione, che costringe la mossa speciale ad ogni tipo d’arma: solo impugnando l’arco avremo a disposizione una schivata degna di questo nome, solo con la corona si potrà dare vita ad un devastante dash contro i nemici e solo con lo scudo avremo a disposizione una vera difesa. Minimal, come dicevamo, tanto da mettere in crisi anche i giocatori più esperti, colpiti da una labirintite acuta dovuta al frequente cambio di stile.

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Angeli e demoni

Enoch sin dai primi passi mossi nelle terre angeliche si troverà a confrontarsi con uno stuolo di nemici dal design genialmente caleidoscopico, un vero e proprio concentrato puro di ispirazione creativa. Belli a vedersi crollano all’atto pratico afflosciandosi in un magma action sterile e fanciullesco. La nostra critica non si muove nella semplice direzione della quantità, quanto verso una promessa di qualità che non si è concretizzata. La mancanza di un giusto set di armi e, soprattutto, le ripetitive danze di morte messe in atto dal nostro protagonista, castrano completamente la voglia di proseguire in un mondo comunque affascinante e suggestivo, vera forza del lavoro di Sawaki.

From Heaven to Hell

El Shaddai: Ascension of the Metatron è in grado come pochi di restituire ambientazioni originali, popolate da un bestiario personalissimo e fuso con momenti d’ispirazione eccellenti. Le splendide sezioni in 2D, nonostante l’elementarità del platform, costituiscono delle vere e proprie zone di contemplazione nelle quali l’iconografia cristiana si cimenta con il citazionismo dell’arte visiva giapponese, a metà tra Hokusai e i nostri pittori medioevali. È questa ambivalenza forte tra gioco e espressione visiva che rende difficile un giudizio conclusivo. La novità di alcuni suoi elementi si perde in scelte che tagliano del tutto l’orizzonte di un gameplay logoro sin da subito. Siamo tra le nuvole eppure Enoch stenta a spiccare il volo. Un’ottima proposta che speriamo possa crescere nel tempo e reincarnarsi in prodotti più completi.