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Recensione Recensione di Call of Duty: Black Ops

Recensione di Call of Duty: Black Ops di Console Tribe

di: Redazione

Ti risvegli, legato, in un posto a te sconosciuto.
Nella tua mente si accalcano ricordi di campi di battaglia, di onorificenze. Sei un soldato, un cane dell’esercito. Accanto a te monitor che riportano strani numeri e, poco distante, farmaci e strumenti per estrapolare chissà quali informazioni dalla tua testa. Ti ritrovi in questo strano posto e tutto quello che vorresti sapere è cosa significano questi dannati numeri che dal monitor iniziano a ronzarti in testa, a confonderti, a distruggerti poco alla volta. Il tuo nome è Alex Mason e sei un soldato. Poco a poco i ricordi iniziano a riaffiorare e capisci che tutto questo ha a che fare con un tizio chiamato Dragovich. I numeri, la missione a Cuba, il carcere di Vorkuta, tutto quello che ti è successo in questi ultimi anni ha un solo filo conduttore: Dragovich.

Behind the enemy lines

La guerra. Anni di videogame e film a tema ci hanno mostrato campi di battaglia rumorosi, confusionali, sanguinolenti. Il sibilo dei proiettili vaganti, le urla strazianti dei soldati feriti, le esplosioni continue; queste immagini riecheggiano nella nostra testa quando pensiamo alle rappresentazioni, videoludiche e non, di questo tema. La guerra non è fatta solo di morte e distruzione. La guerra, quella vera, si combatte anche lontano dai campi di battaglia; può essere silenziosa, cattiva, meschina e riuscire a colpirti alle spalle, proprio quando non te l’aspetti. Infiltrazioni, cospirazioni, tradimenti; la guerra è fatta anche di retroscena, quelli che nel mondo dello spettacolo chiameremmo “dietro le quinte”, di operazioni mai ufficialmente approvate. Call of Duty: Black Ops ci porta proprio dietro le quinte, dietro le linee nemiche e, perché no, anche alle spalle dei nostri stessi alleati. Dimenticate campi di battaglia affollati e iniziate a prendere coscienza del viaggio che stiamo per fare. Vicoli bui, navi abbandonate, prigioni sotterranee, laboratori para-militari, villaggi rurali; la nostra guerra prende vita in posti come questi, prende vita quando tutto il mondo è tranquillo, proprio quando i motivi per combattere ancora sembrano essere finiti.

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Siamo nel pieno della Guerra Fredda e gli Stati Uniti sono nel pieno delle operazioni, spesso non ufficializzate, della lotta al nemico comunista. Gli eventi narrativi in Black Ops sono un sapiente mix di elementi reali e pura finzione scenica: troveremo quindi la presenza di avvenimenti e personaggi storici realmente esistenti accanto a personaggi e situazioni frutto della fantasia degli sviluppatori. Come già detto, ci ritroveremo spesso dietro le linee nemiche e il team scelto per quest’operazione è la squadra SOG (Studies and Observation Group) composta da vari membri – alcuni impersonabili nel gioco – tra i quali spicca Alex Mason, vero protagonista dell’avventura. La storia si apre proprio con Alex, catturato e messo sotto interrogatorio da un gruppo imprecisato di persone. Tramite dei flashback indotti dai farmaci, Alex ci racconta tutti gli eventi che l’hanno portato in questa stanza buia. Il filo conduttore dell’intera vicenda è Dragovich, leader di un comando militare dell’unione sovietica pronto a far detonare una potente arma neurotossica chiamata Nova-6. Mason sembra essere l’unico che, in qualche modo, può sventare la minaccia ma qualcosa nei suoi ricordi non va: ben presto l’ossessione per alcuni numeri e per l’eliminazione di Dragovich e i suoi sottoposti ci fa addirittura dubitare della sanità mentale di Mason. I flashback di Alex ci portano in varie zone del globo: Cuba, Laos, monti Urali, passando da importanti operazioni militari a piccole spedizioni d’infiltrazione. Il canovaccio narrativo è di ottima fattura, offrendoci spunti davvero interessanti e mai banali. Diversamente dal solito, la trama non resta tanto ancorata agli avvenimenti quanto piuttosto sui personaggi: la follia di Dragovich, il ritorno di Reznov come una sorta di coscienza radicata nella mente di Mason; tutti gli elementi narrativi si fondono per dare all’utente una storia diversa da qualunque altro titolo della serie e, perché no, anche del panorama degli FPS generale.
Col proseguimento della campagna si passa da una semplice cronaca di guerra a una sorta di thriller psicologico in cui l’irreale si fonde con la realtà, fino a portarci al catartico finale che, senza volervi anticipare nulla, per certi versi stona con l’impostazione generale del titolo. Troppo enfatizzato, in pieno stile “American Movie”, poco ricercato e approfondito, quasi a voler dimenticare le tinte cupe dell’intera produzione. Questo comunque non inficia i meriti dell’interessante racconto messo a punto dagli sviluppatori di Treyarch.

Limited Ammo

Call of Duty è una di quelle serie che, vista la grande attesa, a ogni nuovo capitolo dovrebbe portare con sé novità capaci di soddisfare i numerosi fan vogliosi di nuove feature e modalità inedite. Potremmo star qui a parlare per ore ma vogliamo essere diretti come una pistola puntata alla tempia: Black Ops, dal punto di vista del gameplay puro, non offre sostanziali novità. Diamo il giusto peso a queste parole, non fraintendeteci, non stiamo di certo etichettando il nuovo Call of Duty come un prodotto di bassa categoria, anzi, stiamo solo dicendo che, entro certi limiti, offre le stesse emozioni dei capitoli precedenti, niente di più, niente di meno.

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Per chi non masticasse pane e FPS, ci ritroviamo davanti ad uno shooter tremendamente solido con un sistema di comandi che ormai ha fatto scuola. Gli stick analogici servono contemporaneamente per muovere il nostro personaggio e mirare; i grilletti, invece, sono deputati allo zoom sul nostro bersaglio e per sparare; immancabile poi un tasto per saltare e uno per interagire con l’ambiente. I tasti rimanenti sono utili per operazioni secondarie, come cambiare arma, passare al fuoco secondario e correre. Più che fornirvi un libretto delle istruzioni completo e dettagliato, preferiamo semplicemente dire che il layout dei comandi è quanto di meglio possa esserci sul mercato e, in pochi secondi, anche un giocatore alle prime armi si troverà a suo agio.
Black Ops è a conti fatti un normale FPS ma, vi starete chiedendo, perché questa serie, e in particolare questo capitolo, riesce a distinguersi dalla massa? Call of Duty emerge dalla mole di titoli, oltre che per il background e per il retaggio che porta con sé, anche per un gameplay studiato nei minimi particolari. Gli scontri a fuoco hanno un ritmo perfetto, costringendo il giocatore a velocizzare le sue azioni quando serve e, allo stesso tempo, offrono quei pochi attimi di respiro per pianificare il colpo successivo. Questo è possibile grazie all’insieme di vari fattori che comprendono posizione, quantità e I.A. dei nemici, modellazione dell’ambiente, armi a disposizione; ogni elemento contribuisce a creare quel gameplay che, senza particolari orpelli, riesce a differenziarsi da tanti altri titoli. Non è solo l’interazione tra giocatore e nemici a creare quest’atmosfera ma anche tutto quello che vi ruota attorno. In Black Ops non si ha la sensazione di essere l’unico elemento vivo e senziente sullo schermo ma è la stessa battaglia a farci sentire solo una piccola parte della macchina bellica che si muove su schermo. Call of Duty vince proprio sotto quest’aspetto, sul feeling che si prova pad alla mano, sul feedback che restituisce il semplice proseguire tra una sparatoria ed un’altra, tra un destino ed un altro. E Black Ops è la massima espressione di questa caratteristica.
Un gioco perfetto? No, anche in questo caso, cari lettori, bisogna dare giusto peso alle parole. Black Ops è probabilmente l’incarnazione migliore della serie ma il tempo, si sa, riesce a logorare anche una macchina ben oliata.
Le sensazioni offerte dal gioco sono di ottima fattura ma dopo tanti anni il peso dell’età si fa sentire. Ci si spinge ai titoli di coda più per l’ottima narrazione piuttosto che per il gameplay in sé (quantunque ben realizzato). Black Ops doveva stupirci di più, doveva osare di più. Non bastano di certo le poche novità presenti: un giro su un Hind a devastare avamposti vietnamiti, la possibilità di comandare un team dall’alto con un Blackbird, in stile RTS. Non basta nemmeno il ritorno, molto gradito, della modalità Zombie. In questa mattanza, offline e online per quattro giocatori, saremo di nuovo a caccia di morti ma anche qui le novità di certo non si sprecano. Non bastano neanche le adrenaliniche sequenze in sella ad una moto o la silenziosa missione stealth; davvero, tutto questo non basta. Black Ops è un titolo nato vecchio, già esplorato, già finito. Eppure i miglioramenti ci sono stati: una campagna offline molto più longeva, un livello di difficoltà più impegnativo ma, anche questo, non basta. Mettiamola così: Black Ops e’ un’arma devastante, letale, precisa, affidabile ma che semplicemente sta finendo in colpi.

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One shot, one kill!

Anche quest’anno la parte del leone nel nuovo Call of Duty non la ricopre tanto la campagna offline, nonostante alcuni picchi di spettacolarità, quanto quella online, a cui dedicherete decine e decine di ore. Come sempre, infatti, quando selezionerete la voce Multiplayer dal menu principale del titolo, sarete proiettati in una nuova schermata del tutto diversa da quella iniziale, semplice preludio a ciò che verrà poi. Iniziamo perciò con ordine, descrivendo con cura tutto quello che di vecchio e nuovo c’è in questo gioco.
Per i nuovi giocatori è presente una modalità di allenamento, utile ad impratichirsi meglio con il sistema di controllo, con le varie armi e con i campi di battaglia. I nemici sono bot guidati da una I.A. sicuramente non competitiva quanto l’intelligenza e l’astuzia di veri giocatori, ma sufficientemente capace da mettere in difficoltà le nuove leve e temprarle nello spirito. Se invece siete dei veterani di numerose guerre moderne, ecco che potrete lanciarvi contro l’utenza umana senza dover affrontare allenamenti di alcun tipo. Certo, all’inizio le opzioni per personalizzare il proprio soldato, nonché le modalità e le armi selezionabili, saranno ben poche, ma mano a mano che giocherete e vi impratichirete con ciò che vi circonda, salirete progressivamente di livello – come in qualsiasi buon gioco di ruolo, elemento del resto recuperato dai Call of Duty precedenti – e le possibilità di personalizzazione e di scelta aumenteranno in breve tempo, previo acquisto. Avete letto bene: in Black Ops, per poter utilizzare qualcosa, qualsiasi cosa, dovrete prima comprarla. Come? Con i CoD points, speciale valuta del gioco, elargiti alla fine di ogni match che disputerete. Ecco quindi che prima di poter utilizzare un’arma qualsiasi – dai fucili d’assalto ai lanciarazzi, alle semplici granate o claymore – dovrete salire fino a determinati livelli per poterne sbloccare l’acquisto, per poi spendere i vostri CoD points per ottenerla definitivamente. Ma con i CoD points non comprerete solo le armi ma anche accessori (presenti a decine), numerosi perk, mimetizzazioni per i propri attrezzi del mestiere, nonché le tanto amate killstreak, che tutt’oggi sono caratteristici delle serie. Killstreak che, nemmeno a dirlo, sono cambiate radicalmente da Modern Warfare 2: sebbene ce ne siano per tutti i gusti, dai semplici aerei ricognitori agli elicotteri d’assalto, a torrette di vario genere, per concludere con l’originale macchina radiocomandata RC (di cui ne è presente una quasi perfetta riproduzione nella Prestige Edition del gioco, un must have per tutti i collezionisti), risultano tutte un po’ meno “potenti” rispetto al passato, permettendo così scontri abbastanza equilibrati e divertenti.
Tornando ai CoD points, potrete anche comprare decine di differenti emblemi, modificabili e unibili tra loro a piacimento, in modo da rendere il vostro soldato distinguibile da tutti gli altri. Insomma, le possibilità di personalizzazione sono davvero elevate, complici anche nuove abilità e nuovi strumenti da poter utilizzare – la telecamera di sorveglianza, esche per attirare gli avversari in trappole e tanto altro ancora…
A tutto ciò vanno aggiunti i Contratti, ovvero delle missioni secondarie da portare a termine durante le partite entro determinati limiti di tempo per ottenere nuovi CoD points e, talvolta, utili punti esperienza aggiuntivi. Questi numerosi Contratti offrono una grande varietà di obiettivi, atti ad allungare ulteriormente la longevità del titolo e a spronare i giocatori a migliorarsi di volta in volta, invogliando anche al cambio dell’equipaggiamento utilizzato e alla variazione del proprio arsenale.

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Dopo aver parlato della personalizzazione del personaggio, bisogna accennare alle modalità di gioco. Ecco quindi che, se in principio solo i Deathmatch saranno disponibili alle nuove reclute, ottenendo esperienza e salendo di livello avrete modo di affrontare anche gli immancabili Cerca & Distruggi, i frenetici Dominio, gli eterni Cattura la Bandiera e tante altre modalità, sia vecchie che nuove. Ognuna con obiettivi ben specifici e talvolta con alcune restrizioni non di poco conto. I puristi degli FPS potranno affrontare partite prive di qualsivoglia killstreak, o con quelle classiche da tre, cinque e sette uccisioni. Gli amanti della strategia e del realismo potrebbero optare invece per le versioni Veterano delle modalità più comuni, vedendo così scomparire ogni dato dallo schermo, come mappa e munizioni, con la consapevolezza che pochissimi colpi potrebbero fare la differenza tra la vita e la morte.
Ma, per chi cerca delle vere sfide e vuole mettersi davvero in gioco, ci si può lanciare nei nuovi Wager Match, delle modalità create con lo scopo di rinnovare un po’ il gameplay. Quando si affronteranno i Wager Match, il giocatore scommetterà i propri CoD points e dovrà lottare fino all’ultimo per arrivare nelle tre posizioni più prestigiose, per recuperare i propri punti e, magari, vincere quelli degli avversari. A chi perde, ovviamente, non gli rimarrà alcuna consolazione se non quella di ritentare fino a che non diverrà lui il campione.
Ecco quindi Gun Game, modalità in cui tutti gli utenti partono con la stessa pistola, per ottenere nuove e più potenti armi ad ogni uccisione. Chi per primo arriva alla ventesima kill, vince la partita e si godrà i punti ottenuti; chi durante il match verrà umiliato con la classica coltellata – che sia alle spalle o frontale poco importa – tornerà ad utilizzare l’arma precedente, aumentando così ulteriormente la distanza dagli avversari. Ma se pensate che questa sia la modalità più originale e bizzarra, vi sbagliate di grosso.
One in the Chamber doterà ogni giocatore solo della pistola, carica di un unico proiettile, dell’immancabile coltello e di tre misere vite. Lo scopo sarà quello di uccidere tutti gli avversari prima di terminare le vite disponibili. Ma come si possono mai uccidere più avversari con un singolo proiettile? Semplice: ad ogni uccisione verrete ricompensati con un nuovo, preziosissimo colpo. Sprecatelo e sarete costretti a correre per la mappa solo con il coltello e tanta buona volontà. Almeno fino a che non affetterete un avversario e recupererete un altro proiettile.
In Sticks and Stones il giocatore sarà armato più come un indiano che come un militare: dotato di balestra, dell’accetta da lancio Tomahawk e del coltello balistico, anche qua bisognerà far stragi. L’unico inconveniente lo si potrebbe riscontrare se, per sfortunata coincidenza o incapacità, si venisse uccisi dal Tomahawk. In quel caso, il punteggio scenderebbe rapidamente a zero, e al povero malcapitato non rimarrebbe che piangersi addosso.
Infine merita menzione la modalità Sharp Shooter, che affida ai giocatori un’arma a caso tra quelle presenti nel gioco, e che cambia dopo intervalli di tempo regolari. Ciò non solo rende i match ancora più imprevedibili, ma costringe i giocatori ad adattarsi in tempo reale all’intero arsenale, con la perenne incognita di ciò che imbracceranno ad ogni cambio di arma.
Insomma, le modalità originali non mancano, e aggiungono un bel po’ di divertimento e originalità alle meccaniche già conosciute con i capitoli precedenti della saga.

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Le mappe presenti sono molte e varie, ognuna con la propria e unica ambientazione. Si passa così da giungle rigogliose a insediamenti industriali, a basi militari con tanto di missili pronti ad essere lanciati, a vette innevate. Ognuna è ricca di dettagli e, sebbene la resa grafica risenta di una cura minore rispetto alla controparte offline, il colpo d’occhio rimane sempre buono.
A ciò va aggiunta l’implementazione di una lieve interazione con qualche elemento, nulla di eccezionale, ma qualche piccola trovata riesce a rendere gli scontri ancora più imprevedibili. D’altronde risulta arduo individuare i nemici quando a pochi metri di distanza sta passando rumorosamente sui binari un treno merci, o se una sirena d’allarme suona a ritmo incessante. Tutti i campi di battaglia hanno comunque un elemento in comune: sono strutturati in maniera intelligente, su più livelli, costringendo quindi a scontri tanto orizzontali quanto verticali. Insomma, un plauso ai ragazzi di Treyarch.

Online tutto rose e fiori, quindi? No, a dire la verità. Qualche difetto è presente, anche se nessuno risulta grave o irreparabile. Primo tra tutti un respawn che, in taluni casi, risulta irritante. Rinascere in un settore della mappa, fare qualche passo e poi morire perché un paio di avversari sono comparsi alle proprie spalle non è di certo un’esperienza divertente. Capita di rado di arrabbiarsi per tale ingenuità da parte degli sviluppatori, però con una patch siamo certi che si possa correggere tutto in tempi rapidi.
E una buona patch riparatrice potrebbe tornare utile anche per potenziare il netcode che, sebbene sia abbastanza stabile in linea generale, talvolta arranca e mostra lag o disconnessioni improvvise, nonché alcuni problemi negli inviti mandati agli amici.
Ultimo appunto riguarda un bilanciamento delle armi che non sempre risulta perfetto, con alcune sputafuoco più potenti di altre e in grado di cambiare, nei casi peggiori, il corso degli eventi.
Ma se davanti a questi difetti, tutti tra l’altro facilmente risolvibili, si chiude un occhio, ciò che rimane è un ottimo gioco, capace di rapirvi per settimane o addirittura mesi interi.

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Practice makes perfect?

Black Ops si attesta come il miglior capitolo della saga dal punto di vista della narrazione ma, il lavoro svolto per migliorare quest’aspetto, se non accompagnato da una grafica ed un design all’altezza potrebbe anche venir facilmente vanificato. Tecnicamente la serie ci ha sempre abituato a grandi lavori ma, allo stesso tempo, è sempre stata accompagnata da piccoli difetti che ne minavano la credibilità. Iniziamo col dire che Black Ops gira a 60 fps stabili, capaci di reggere a qualsiasi situazione. Questo fa sì che il giocatore non si ritrovi mai a dover incappare in fastidiosi rallentamenti che, in un modo o in un altro, graverebbero sull’esperienza giocata. Per quasi l’intero articolo si è dato un peso notevole alla mancanza di vere novità, anche dal punto di vista tecnico non ci sono particolari introduzioni ma, diversamente dal gameplay, non si sentiva poi così tanto questa necessità. Le ambientazioni, sia come design che come texturizzazione, si attestano su ottimi livelli: ogni scenario è gradevole e restituisce un colpo d’occhio davvero notevole. Lo stile generale e il taglio stilistico dell’opera donano al titolo un look davvero particolare.
La modellazione poligonale dei personaggi, seppur di pregevole fattura, non è esente da difetti, come qualche dettaglio in bassa risoluzione e animazioni non sempre perfette. Punto di forza della serie sono sempre state le luci e gli effetti particellari che fanno di Black Ops il titolo meglio riuscito sotto quest’aspetto, anche se in generale, purtroppo, visti i pochi miglioramenti non è comunque all’altezza delle più recenti produzioni.
Vista la tipologia di gioco è opportuno spendere due parole sulla grafica nel comparto online. Questa si attesta su livelli buoni, con ambientazioni ricche di fascino e dettagli, una personalizzazione del proprio soldato che si nota anche visivamente, ma siamo ancora ben lontani dai risultati ottenuti da altre produzioni. Le texture talvolta appaiono fin troppo poco precise, gli effetti particellari non sempre risultano realistici come dovrebbero, il sistema di illuminazione seppur buono non raggiunge le vette ottenute da alcuni concorrenti e dalla stessa controparte offline.

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E per fare un confronto con un rivale diretto, giunto nei negozi di recente, bisogna citare Medal of Honor della EA. Sebbene quest’ultimo goda di scenari davvero epici e di paesaggi talvolta davvero realistici, bisogna ammettere che in un confronto diretto prevale Black Ops. Non tanto per la pulizia grafica o per modelli poligonali di sorta, certo. Più che altro per il risultato generale. Quantunque MoH disponga di una grafica che fa dell’illuminazione il suo punto forte, compensando a certi limiti del motore utilizzato per il comparto online, soffre di animazioni (non scriptate) più legnose, di caricamenti delle texture talvolta troppo lenti e di compenetrazioni poligonali troppo frequenti. Se a ciò si aggiungono altri piccoli difetti, il comparto grafico di MoH risulta fin troppo claudicante. Black Ops non eccelle in nessun comparto, ma a differenza del rivale non presenta nessun difetto particolare, e questo alla fin fine risulta più un pregio che un difetto.
Inoltre, se si pensa al motore grafico utilizzato da Treyarch, ormai vecchiotto, ci si stupisce dei buoni risultati ottenuti.
Per quanto riguarda il sonoro, nella sua totalità, è stato fatto un netto passo avanti. Colonne sonore più coinvolgenti, cambio di traccia nei momenti più adrenalinici e, più in generale, un ottimo sonoro ambientale fanno di Black Ops uno dei titoli dal comparto audio meglio riusciti. Da segnalare in positivo anche l’ottimo doppiaggio in lingua italiana.

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War is Over?

La guerra è finita, almeno per ora. Segnati da mille battaglie, il nostro corpo è ormai divenuto un tutt’uno con la nostra arma. Difficile dimenticare anni e anni passati tra guerre mondiali e guerriglia moderna. Black Ops porta con sé un retaggio, artistico e culturale, davvero forte. Se pensiamo che questa è la generazione dei First Person Shooter, con Call of Duty a mostrarsi come uno dei massimi esponenti del genere, è facile intuire che ci troviamo non di fronte ad un titolo qualsiasi ma l’emblema stesso di questa generazione. E’ facile colpevolizzare Black Ops come se fosse un prodotto privo di contenuti profondi e intaccato dalla mancanza di creatività. Call of Duty non fa altro che dare all’utente medio quello che vuole e, dovendo riconoscergli i giusti meriti, lo fa tremendamente bene. Un gameplay solido, un online corposo e ricco di modalità, il tutto incorniciato da un comparto tecnico di spessore.
Descritto così potrebbe sembrare un capolavoro, un titolo che farà storia. Ma, purtroppo, così non è. La storia è già stata fatta. Black Ops è, a conti fatti, un “more of the same”, pur distinguendosi sotto molti aspetti non riesce a segnare quel punto di svolta che tutti ci aspettavamo. Per i fan della serie è un acquisto sicuramente obbligato, irrinunciabile ed è proprio a loro che gli sviluppatori si rivolgono. Se amate la serie sentitevi quindi liberi di “gonfiare” il voto della recensione.
La guerra è finita, e semmai dovesse cominciare di nuovo, che ci porti in campi di battaglia inediti, che ci dia uno stimolo per continuare a combattere.