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Recensione Outlast 2

di: Simone Cantini

Apparso praticamente a sorpresa all’interno della Instant Game Collection di qualche anno fa, il primo Outlast si rivelò ben presto una piacevole e spaventosa sorpresa anche per tutti gli utenti PS4 (ed in seguito Xbox One), gettando ancor più sotto i riflettori i canadesi di Red Barrels. È per questo motivo che l’annuncio di un nuovo episodio di questa particolare saga survival horror venne accolto con estremo piacere dalla platea videoludica, desiderosa di tornare a respirare le ansiogene atmosfere che avevano fatto la fortuna del fratello di questo Outlast 2.

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Credo in un oscuro dio

L’incipit di questa nuova avventura, caratterizzata da tematiche e personaggi completamente inediti, lo avevo già analizzato nel precedente hands on della demo, assieme alla prima infarinatura di gameplay. Ma visto che siete un branco di pigroni che, di sicuro, non avrà nemmeno voglia di cliccare sul link che ho appena suggerito, vi dirò soltanto che stavolta saremo calati negli sventurati panni del reporter Blake Langermann, giunto in Arizona assieme alla moglie Lynn per indagare sulla improvvisa morte di una giovane ragazza incinta, ritrovata in condizioni devastanti nei boschi della zona. Ovviamente quella che doveva essere una semplice inchiesta giornalistica finirà ben presto per trasformarsi in un cupo e cruento viaggio nell’orrore più profondo, non appena il buon Blake incrocerà i suoi passi con quelli di un deviato e brutale culto religioso. Fisico e sanguigno, caratterizzato da una violenza esplicita ma mai del tutto gratuita, oltre che da una sessualità sfacciata e divinamente perversa, l’orrore messo in piedi dai ragazzi di Red Barrels ci catapulta tra le spire di un allucinante viaggio verso la salvezza, in cui la palpabile lotta per la sopravvivenza si intreccia di tanto in tanto con i ricordi contorti di un passato che Blake sembra non poter dimenticare, nonostante gli sforzi compiuti nel tentativo di riprendere il pieno controllo della propria esistenza. E questo doppio percorso, fuso in maniera davvero convincente e ben dosato, a cui fa da contorno una storia tutto sommato interessante (ma che, ahinoi, finisce per sfilacciarsi un po’ troppo proprio nelle battute finali), rappresenta uno degli elementi più riusciti di Outlast 2, grazie anche ad una struttura che ricorda molto da vicino l’eccellente Silent Hill 2. Il cambio di setting e personaggi è servito anche al team per sparigliare le carte in tavola anche sul versante ambientale, spostando le vicende dal claustrofobico sanatorio di Mount Massive alle zone ben più ampie (almeno in apparenza) ed ariose dell’Arizona, pur non rinunciando a sezioni decisamente più claustrofobiche e costrittive. Anche la telecamera, la nostra unica arma utile per sfuggire alle grinfie dei deviati che si aggirano per i vari stage,  ha subito un lieve, per quanto molto utile, potenziamento: oltre alla tanto cara visione notturna, indispensabile per orientarsi nelle zone buie del gioco (e ce ne saranno tante, fidatevi), questa è stata dotata di un comodissimo microfono direzionale, che tornerà particolarmente utile per determinare anche a grande distanza la posizione degli avversari. Inoltre Blake utilizzerà la camera per documentare in primissima persona alcuni punti della narrazione, andando ad arricchire questo aspetto. Insomma, Outlast 2 sembrerebbe essere il seguito perfetto: più grande, più vario e più bello, peccato che una volta impugnato il pad le cose si siano rivelate decisamente differenti.

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Vorrei ma non posso

L’aver voluto alzare, giustamente, l’asticella sembra essersi ritorto prepotentemente contro il team canadese, che sembra davvero aver voluto compiere il classico passo più lungo della gamba. Outlast 2, difatti, tradisce una messa in scena quanto mai caotica e confusionaria, che proprio a causa del voler spingere forte sul pedale dell’abbondanza ha finito per mettere in mostra tutti i limiti di un gameplay rimasto fondamentalmente inalterato. Blake, come il precedente Miles, si troverà fondamentalmente inerme nei confronti dei vari avversari, potendo contare unicamente sulla fuga ed il nascondersi. Elementi che hanno fatto la fortuna del precedente episodio, ma che hanno finito per perdere comicamente di efficacia e coerenza in Outlast 2. Se era più che possibile chiudere un occhio dinanzi a questa impotenza quando ci trovavamo faccia a faccia con dei deformi e nerboruti pazzi scatenati dalla forza erculea, rinchiusi tra l’altro in un ambiente quanto mai asettico e privo di reali strumenti di offesa come Mount Massive, tutto diviene più ostico in Outlast 2. Vedere Blake incapace di raccogliere anche solo una pala, una catena, un gancio da macellaio (e ce ne sono in abbondanza nel gioco!), oppure una delle numerosissime torce elettriche funzionanti in cui ci imbatteremo spesso è quanto mai ridicolo. Anche in virtù dell’avidità con cui la nostra videocamera è solita prosciugare la propria scorta di batterie. Tutti elementi che stridono pesantemente al cospetto dell’imprevedibile IA che gestisce gli avversari, i quali non seguiranno i classici percorsi obbligati, ma vagheranno in maniera realisticamente randomica, rendendo talvolta estenuanti o direttamente inutili i nostri tentativi di occultamento. Banalmente anche la sola possibilità di lanciare oggetti per creare diversivi sonori avrebbe potuto tamponare tale forzatura, ma nulla è stato fatto in questo senso. Come se non bastasse la maggior parte degli avversari è capace di uccidere Blake con un solo colpo, elemento che trasforma ogni fuga fallita in game over automatico. L’abuso del trial and error, causato principalmente da una mappa di gioco confusionaria e che rende spessissimo difficile capire quale sia la direzione giusta da prendere, rende l’esperienza quanto mai frustrante, oltre che causa di una perdita palpabile di tensione. Non sono rare, difatti, sessioni in cui moriremo 4-5 volte di fila solo perché non si è scovato il corridoio giusto, oppure perché dietro ad una porta si trovava un nemico in gradi di oneshottarci senza possibilità di appello. La stessa disposizione di alcuni checkpoint, inoltre, lascia basiti per il modo in cui sono stati decisi: ripartire a pochi centimetri da un avversario invincibile, avendo a disposizione solo una frazione di secondo per capire quale sia l’azione giusta da compiere è davvero disarmante. E poi mi sta bene tutto, anche morire ad libitum al cospetto di un deforme gigante, ma non riuscire a sfuggire alle grinfie di un sifilitico rachitico e monco (giuro!) l’ho trovato davvero assurdo.

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Elementi di una crescita

Fortunatamente non tutti i passi avanti compiuti si sono rivelati fallimentari. Primo tra i buoni troviamo, difatti, il rinnovato comparto tecnico, che è stato capace di compiere notevoli passi in avanti. La resa complessiva degli ambienti è migliorata in maniera tangibile, elemento che ha permesso una caratterizzazione maniacale degli stessi: la decadenza di questo contorto mondo, completamente avulso dalla realtà, è avvertibile ad ogni passo, grazie a numerosi dettagli con cui le varie strutture sono state impreziosite. Gli stessi personaggi godono ora di una modellazione più accurata e credibile, mentre l’illuminazione si attesta su livelli ottimi, con giochi di luce e di ombre in grado di creare scenari davvero inquietanti. Eccellente il lavoro svolto sul versante sonoro, grazie ad un convincente doppiaggio in inglese (presenti i sottotitoli in italiano e la completa localizzazione di tutti i testi) ed una colonna sonora capace di acuire la tensione generale. Buona la longevità complessiva, dato che serviranno almeno 8 ore abbondanti per arrivare ai titoli di coda.

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Outlast 2 aveva tutte le carte in regola per essere il sequel perfetto, peccato che gli sforzi compiuti dal team per migliorare la propria creatura non siano stati compiuti a 360°. A fronte di una struttura ambientale rinnovata ed ampliata, il nocciolo del gameplay è rimasto pesantemente ancorato al passato, non riuscendo a tenere il passo di tutto il resto. Se a questo si unisce un incedere quanto mai caotico e casuale, condito da uno stucchevole abuso del trial and error, diventa davvero impossibile promuovere la nuova creatura dei pur talentuosi ragazzi di Red Barrels: salto di qualità rimandato ad Outlast 3?