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Recensione Malicious Rebirth

Quasi subito dopo aver iniziato a giocare a Malicious Rebirth, mi sono ricordato di una intervista concessa ormai più di un anno or sono dal Direttore dei Sony
Japan Studios, Gavin Moore, ad un noto portale internazionale di videogiochi. Parlando della peculiarità tutta giapponese di riuscire a creare prodotti che -dal punto di vista dei risvolti stilistici e di gameplay- risultino talvolta alieni alla sensibilità del giocatore occidentale, Moore affermava senza mezzi termini che “il Giappone è l’unico posto al mondo dove gli sviluppatori abbiano abbastanza palle per sfidare tutte le convenzioni e gli standard tipici che ci si aspettino da un videogame per le masse”. Ovvero che, indipendentemente dal risultato finale, c’è qualcosa di unico nel modo in cui in Giappone ci si approccia alla creazione di prodotti videoludici, qualcosa che non è possibile trovare altrove.

di: Daniele "SteelTurtle" Mancuso
Quasi subito dopo aver iniziato a giocare a Malicious Rebirth, mi sono ricordato di una intervista concessa ormai più di un anno or sono dal Direttore dei Sony
Japan Studios, Gavin Moore, ad un noto portale internazionale di videogiochi. Parlando della peculiarità tutta giapponese di riuscire a creare prodotti che -dal punto di vista dei risvolti stilistici e di gameplay- risultino talvolta alieni alla sensibilità del giocatore occidentale, Moore affermava senza mezzi termini che “il Giappone è l’unico posto al mondo dove gli sviluppatori abbiano abbastanza palle per sfidare tutte le convenzioni e gli standard tipici che ci si aspettino da un videogame per le masse”. Ovvero che, indipendentemente dal risultato finale, c’è qualcosa di unico nel modo in cui in Giappone ci si approccia alla creazione di prodotti videoludici, qualcosa che non è possibile trovare altrove.
Mi è venuta in mente questo poiché Malicious Rebirth è un gioco dei nipponici Alvion e, credetemi, non è affatto così facile inquadrarlo per categorie o nomenclature precise proprio per via del suo essere uno di quei titoli concepiti più come un esperimento a metà strada tra l’esercizo artistico e l’intrattenimento, che non ciò che sembra all’apparenza, ovvero un brawler in terza persona con diversi elementi da shot’em up.
In cosa consiste il difficile approccio del videogamer medio a Malicious? Beh, tanto per cominciare va spiegato che questo è un titolo a basso budget di produzione, ed il prezzo di una dozzina di euro sul PS Store non ne è l’unica prova. C’è infatti anche qualcosa che è palese fin da subito prestando attenzione agli schermi introduttivi: a controbilanciare un ispirato e pregevole design di personaggi e scenari, per non parlare di una ottima colonna sonora, corrisponde la totale assenza di sequenze introduttive in computer grafica o delle qualsivoglia tavole illustrate che spieghino al giocatore in che tipo di contesto sia ambientata la storia di Malicious e quali siano le motivazioni alla base di ciò che sta per succedere una volta che decidiate di iniziare la partita.
O meglio, c’è un’introduzione narrativa, liberamente accessibile dal menu dei titoli e persino ottimamente scritta, sotto forma di un testo di 4 capitoli distinti. Purtroppo ciò significa anche che, nel caso in cui siate dei pigri lettori o che comunque non abbiate alcuna voglia di leggere da 20 a 25 minuti buoni della leggenda della folle Regina Guerriera Ashlelei che sacrificò la vita dei propri figli in cambio di un potere sovrumano e inarrestabile garantitole da un gruppo di misteriosi Profeti, potreste decidere di saltare i preamboli e tuffarvi direttamente nel gioco… senza capire assolutamente cosa stiate facendo e perché.
Detto in altre parole, Malicious Rebirth se ne frega del tutto e fin dal principio della possibilità che, come videogiocatori, voi non possediate il profilo di una persona paziente e che si interessi tanto della assimilazione di una storia quanto di un ben riuscito sistema di gameplay.
D’altronde, se decidete di lasciarvi persuadere dalla lettura del mito del terribile Malicious (da cui il nome del gioco) e della storia di disperazione di un Regno distrutto dalla follia dei suoi reggenti, la ricompensa è il poter iniziare a giocare con un tipo di motivazione completamente differente.

Malicious

Malicious Rebirth è la versione “riveduta e corretta” dell’omonimo titolo uscito in Giappone nel 2010 su PS3 (e nel 2012 in Europa), con un sistema di controllo opportunamente adattato per integrarsi con il touch screen di PS Vita ed una serie di ricalibrature e cambiamenti visivi rispetto alla versione originale. Tecnicamente si tratta come già detto di un beat’em up tridimensionale, nel quale il giocatore interpreta uno dei due “Vessilli”, gli spiriti nei quali si materializzano le identità di Erica e Valeria, ovvero i due figli della Regina Ashlelei di cui sopra. Lo scopo dei due spiriti è quello di recuperare il potere che i Profeti concessero in prestito ad Ashlelei e i suoi Generali per poter combattere secoli prima il Malicious, ma che la Regina rifiutò poi di restituire per la troppa brama di potere. Il potere della tecnologia dei Profeti ha nel tempo sia condotto alla follia Ashlelei e i suoi 4 fedeli servitori, che mutato la loro forma umana in quella di titaniche bestie fatte in parte di carne e in parte di macchine.
Il gioco consiste quindi nell’affrontare in 5 arene distinte gli ex eroi del Regno, prima di poter recuperare sufficienti energie per poter fronteggiare il Malicious stesso. Ognuna delle arene è liberamente accessibile fin dall’inizio del gioco e, pur non essendoci alcuna indicazione al riguardo, il giocatore scoprirà presto che scontrarsi con i Generali della Regina Ashlelei in un certo ordine può fare una notevole differenza nei termini della difficoltà del videogame.
All’inizio infatti, gli spiriti di Erica o Valeria posseggono solo un piccolo gruppo di tecniche di attacco sia per il corpo a corpo che per lo scontro a distanza, generate utilizzando il loro Manto il quale assume forme diverse a seconda del tipo di azioni intraprese, e che può anche servire opportunamente come scudo dagli attacchi nemici. Ogni volta che uno dei giganteschi mostri viene abbattuto, il Manto di Erica o Valeria eredita il potere fino a quel momento racchiuso nel mostro, ovvero rende disponibili al protagonista un nuovo arsenale di attacchi speciali. E’ per questo che la ricerca della progressione più conveniente dei vari stage assume importanza strategica, seppure i giocatori più abili potrebbero cercare di entrare in battaglia in “condizione di volontaria inferiorità” al fine di mettere alla prova le proprie abilità (e Malicious Rebirth incentiva tale sistema, poiché alla fine di ogni battaglia il giocatore riceve dei voti in base alla propria prestazione).
E’ interessante notare che, indipendentemente dall’ordine di battaglia, la bravura, la velocità e l’energia di tutti i vostri nemici incrementeranno di pari passo con i progressi del protagonista, donando ciò maggiore profondità al gameplay e incentivando a riaffrontare le arene in ordine e modo differente anche dopo aver concluso il gioco una prima volta.
Ogni volta che il protagonista viene colpito le sue braccia e le gambe spariscono progressivamente, fungendo ciò da indicatore visivo dello stato di salute dello spirito. Per poter riparare la propria energia, è necessario spendere dell’Aura, guadagnata distruggendo i nemici minori presenti nell’arena. I boss che affronterete nelle arene infatti non saranno mai soli; a supportarli esisteranno sempre folti numeri di soldati o mostri dispersi sul campo di battaglia, i quali cercheranno attivamente di inseguire e distruggere Erica o Valeria. Lo scopo di tali personaggi avversari è proprio, oltre quello di rendere ovviamente più difficili le battaglie, anche quello di rifornirvi di Aura una volta che li avrete eliminati. L’Aura, raccolta in gran numero, serve anche allo scopo di “caricare” devastanti attacchi da indirizzare al boss principale di ogni arena; utilizzati nel modo giusto, tali assalti potenziati possono accorciare di molto degli scontri altrimenti lunghi ed estenuanti.

L’inestricabile Vessillo

E’ un gioco difficile Malicious Rebirth. Non parlo delle meccaniche di gameplay in sé e per sé, che anzi risultano intuitive e facili da padroneggiare. La difficoltà a cui mi riferisco riguarda la comprensione della natura stessa del videogame.
Reduce da un soddisfacente successo riscosso in Giappone nel 2010, la versione PS Vita è la riproposizione dello stesso concept di “gameplay semplice e diretto” propagandato dagli Alvion al momento della prima pubblicazione. Malicious è uno di quei videogiochi da prendere o lasciare, da accettare per quello che è o da ignorare, per via del fatto che la sua natura piuttosto criptica e poco amichevole non è certo adatta per i gusti dei giocatori di massa. Completabile in meno di 4 ore, il valore di replay di Malicious va ricercato nella voglia individuale del giocatore di eccellere all’interno di ogni arena e di guadagnare padronanza in tutte le tecniche di attacco disponibili. La versione PS Vita possiede un miglior sistema di controllo della telecamera di gioco rispetto all’originale per PS3, nonché dei controlli più intuitivi. Possiede però anche alcuni fastidiosi bug che a volte provocano la rotazione della visuale di gioco in angoli decisamente poco adatti alla gestione della situazione del campo di battaglia, e che si spera vengano risolti da patch successive.
Se esiste un aspetto di spicco di questa pur economica produzione degli Alvion, comunque, è proprio la notevole ispirazione di cui gode il lato artistico del gioco. Per quanto infatti si possa eventualmente voler parlar male della realizzazione tecnica -in alcuni frangenti approssimativa- di Malicious Rebirth, solo ottime parole si possono spendere per il tentativo ben riuscito di donare riconoscibilità e stile alle grafiche di gioco e ai commenti sonori, che insieme sollevano di molte spanne il prodotto dal rischio di un certo anonimato.
Questo è un gioco per pochi, e a voler ben vedere non è neppure un difetto così grande. Se non ve la sentite di spendere 12 euro per Malicious Rebirth, attendete tra qualche mese un eventuale ribasso di prezzo ma in ogni caso ricordatevene, perché potrebbe stupirvi positivamente una volta che decidiate di provarlo e che ne abbiate compreso la particolare identità.