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Recensione L.A. Noire: The VR Case Files

di: Simone Cantini

Quella di Cole Phelps è senza ombra di dubbio una storia non proprio fortunatissima, visti gli alti e bassi che hanno caratterizzato il titolo di cui è protagonista: annunciato in pompa magna agli albori della scorsa generazione di console, riuscendo sin da subito a catalizzare l’attenzione del pubblico, il titolo di Team Bondi finì per trascinare stancamente il suo sviluppo per troppi anni, giungendo quasi fuori tempo massimo, non senza portarsi in dote qualche criticità. La prima tra tutte fu proprio la chiusura dello studio in questione, mentre la seconda fu l’accoglienza altalenante riservata alla produzione, come vuole la tradizione dei videogame caratterizzati dalle lungaggini programmatorie. Eppure, nonostante tutto, Rockstar ha dimostrato di tenere al suo investigatore, come ci ricordano i porting recenti, a cui si è aggiunto da poco L.A. Noire: The VR Case Files, riduzione dell’originale destinata a PSVR.

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Schegge di memoria

Confesso che il primo approccio con L.A. Noire: The VR Case Files mi ha visto alquanto basito, dato che mi sarei aspettato un porting in chiave virtuale sulla falsariga di quanto fatto con Skyrim. Invece ecco che, una volta avviato il gioco, mi sono ritrovato tra le mani una sorta di bignami dell’avventura di Cole, data la presenza di soli 7 dei casi inseriti nel titolo originale. Si tratta di un difetto che va a cozzare in modo evidente con la natura story driven della produzione Team Bondi, dato che L.A. Noire: The VR Case Files finisce solo con il proporci una serie di spezzoni sconnessi, incapaci di fornire un quadro completo della storyline. Il che, visto anche il modo estremamente convincente in cui il gioco è stato riportato tra le pareti del PSVR, rappresenta un vero peccato: le porzioni presenti in questa conversione, difatti, ripropongono nella loro interezza quanto già giocato, elemento che testimonia come un porting 1:1 sarebbe stato decisamente possibile. Al netto di questo mio personale cruccio, però, è impossibile negare il lavoro svolto con L.A. Noire: The VR Case Files, che sin dal set di comandi utilizzato dimostra una cura realizzativa non certo trascurabile. Questa emerge in primis dal sistema di locomozione impiegato, capace di adattarsi a tutti gli stomaci, grazie ad un sistema ibrido che consente in qualsiasi momento di optare per un movimento fluido, oppure uno basato sul classico teletrasporto. Ottima, in virtù di una riuscita implementazione dei Move, l’interazione ambientale, come emerge chiaramente durante le indagini, in cui riusciremo ad interagire in modo estremamente naturale con gli oggetti ed il nostro fedele taccuino. Il motion controller Sony si è dimostrato un validissimo alleato anche durante le divertenti sessioni di lotta e nelle sezioni di guida, tra l’altro gestite da un sistema sufficientemente credibile e divertente, oltre che dannatamente immersivo: controllare sterzo ed ogni parte dell’auto per mezzo delle mani è un plus non da poco. Meno convincenti ho trovato le sparatorie, a tratti un po’ ingessate e non sempre accompagnate da una corretta rilevazione delle periferiche. Fa senza dubbio piacere, però, constatare come a questo trittico di novità L.A. Noire: The VR Case Files abbia dedicato tre minigiochi aggiuntivi, esclusivi per questa versione.

A me gli occhi!

A livello puramente interattivo, è evidente come L.A. Noire: The VR Case Files si presenti all’appuntamento in forma decisamente smagliante, riuscendo a riproporre tutto quanto il titolo originale aveva in serbo per noi, permettendoci quindi anche una notevole libertà esplorativa, sia a quattro ruote che su gambe, della Los Angeles tratteggiata da Team Bondi. Una città, tra le altre cose, ricca di collezionabili da sbloccare, elemento che riesce ad impennare la longevità complessiva, che si attesta comunque attorno alle 5-6 ore. Come il suo genitore, però, L.A. Noire: The VR Case Files riesce a dare il meglio di sé in occasione degli interrogatori dei vari testimoni, ancora una volta basati sull’interpretazione visiva del loro comportamento. Ed è proprio qua che la ancora oggi sorprendente recitazione digitale dei vari personaggi non può che lasciare a bocca aperta, il tutto grazie ad un impressionante lavoro di motion capture, capace di far emergere anche i tic e le emozioni più impercettibili dei vari attori digitali. Ed è in questi frangenti che il gameplay originale di L.A. Noire: The VR Case Files ci rivedrà intenti a scegliere l’approccio migliore nel presentare le domande, tramite il sistema poliziotto buono/poliziotto cattivo, a cui si accompagna la possibilità di accusare direttamente l’indiziato, ovviamente se provvisti di prove necessarie a confutare le sue argomentazioni. Il sistema, seppur in certi casi si basi sul trial and error, funziona ancora oggi alla grande, anche se stona l’impossibilità di skippare i dialoghi già sentiti, qualora ci si ritrovi a dover riprendere dal principio la chiacchierata. È tecnicamente parlando, però, che L.A. Noire: The VR Case Files esce indenne da ogni critica, grazie ad una presentazione scenica impeccabile, forte di un dettaglio generale più che ottimo, a cui si accompagna una distanza visiva di tutto rispetto. Peccato solo per un paio di bug che non hanno fatto scattare alcuni script, necessari al proseguo dell’azione, ma che sono stati prontamente superati semplicemente ricaricando l’ultimo salvataggio.

L.A. Noire: The VR Case Files è un titolo ambizioso e per certo versi riuscito, capace di riportare in auge una porzione della storia di Cole Phelps, corroborandola con una azzeccatissima e calzante spruzzata di realtà virtuale. Quanto giocato, difatti, si è dimostrato adattissimo alla fruizione per mezzo della coppia PSVR/Move, restituendoci un feeling di gioco veramente ottimo. Le uniche perplessità risiedono, quindi, nella scelta non troppo temeraria di limitarsi alla riproposizione di parte di questo affresco, situazione che rende i 7 casi presenti delle semplici storie sconnesse. Non posso pertanto fare a meno di chiedermi che cosa L.A. Noire: The VR Case Files avrebbe potuto essere, se solo Rockstar avesse avuto un pizzico di coraggio in più, scegliendo di convertire interamente in chiave virtuale il lavoro che fu di Team Bondi.