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Recensione Inside

di: Federico Lelli

Inside, nato dalle mani di Playdead Studio, si muove sulle orme del precedente Limbo, grande successo indie che sarà difficile da replicare, ma ha sicuramente le carte in mano per giocarsela alla pari col suo predecessore.

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Un tocco di colore e l’angoscia è servita

Se c’è una cosa che appare chiara fin dall’inizio di Inside è che i ragazzi di Playdead Studio hanno una cifra stilistica molto definita che è difficile da confondere. Nonostante l’aggiunta del colore al titolo, che comunque preferisce i toni di grigio e le tinte desaturate, si capisce subito che ci troviamo davanti a un seguito spirituale di Limbo. È dal gioco del 2010 infatti che Inside recupera parecchie dinamiche di gioco: dal gameplay che mischia il platform al puzzle game alla trama solo accennata e raccontata sempre tramite immagini.

Dimenticatevi quindi di leggere motivazioni e descrizioni del protagonista e dei suoi nemici, anzi, dimenticate di leggere qualunque cosa che non sia il menù iniziale o i titoli di coda: il piccolo eroe del gioco ci viene presentato in medias res mentre sta scappando dai suoi inseguitori in una prima mezz’ora che è probabilmente la più angosciante e piena di tensione che abbiamo mai giocato.

La mancanza di una narrazione classica non vuol dire però che il gioco sia carente dal punto di vista dello storytelling, anzi, è esattamente l’opposto: ogni particolare, dagli elementi sullo sfondo alle animazioni curatissime dei personaggi, ci racconta la storia di un regime orwelliano che controlla tutto e tutti, anche con la forza, e i retroscena di strani esperimenti effettuati in segreto. Come in Limbo però non aspettatevi di avere tutte le risposte soprattutto dopo il finale, che sembra uscito dalla mente malata di Cronenberg.

Parlando puramente di gameplay Inside mischia in maniera molto intelligente un platform basilare ad una lunga serie di puzzle ambientali mettendoci a disposizione lo stick per il movimento e solo due tasti: il salto e l’interazione. L’offerta dei rompicapi è variegata e mai ripetitiva: il team di Playdead trova sempre un modo inedito per metterci davanti ad una sfida e, allo stesso tempo, mai eccessivamente frustrante, visto che troveremo sempre tutti gli elementi per risolvere il nostro enigma nella stessa schermata o in quella precedente. Non avendo input a schermo la componente di trial and error è quindi obbligatoria ma, grazie ai veloci caricamenti, mai pesante e, se il gioco non fosse permeato da una certa gravitas di fondo, diremmo anche che la lunga sequenza di decessi del protagonista al fallimento di un enigma potrebbe anche farvi accennare un sorriso.
Ed è proprio nei momenti in cui rischiamo la vita (cioè quasi sempre) che il titolo dà il massimo, con puzzle tesissimi che ci portano a sfuggire all’ultimo momento la minaccia che ci insegue o a elaborare difese estemporanee con i mezzi a nostra disposizione.

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Inside vi impegnerà per un tempo variabile che può andare dalle 4/5 ore in su, dipende da che familiarità avete con questo tipo di enigmi, ma, arrivati alla fine, la sensazione è quella che il titolo si sia fermato prima di riproporci nuovamente le stesse meccaniche e puzzle e che, invece, abbia fatto di tutto per esplorare al massimo tutte le possibilità offerte dal gameplay senza allungare il brodo inutilmente.

Allo stesso modo possiamo parlare del reparto artistico: anche se punta ad un certo minimalismo di fondo, Inside sfrutta tutto quello che ha per mostrarcelo al massimo senza esagerare con gli orpelli ma comunque mostrandoci i muscoli qui e là, soprattutto con gli effetti e, con una direzione artistica ai massimi livelli, ogni singola inquadratura sembra curata al dettaglio. Tutto, dalle ambientazioni alle animazioni fino al tappeto sonoro d’atmosfera, ci parla mentre viviamo la nostra avventura.

Il prezzo di 19 euro potrebbe spaventare i più ma non abbiamo paura a dire che Inside è un piccolo capolavoro che sicuramente merita di essere giocato da tutti, in primis da chi ha amato Limbo. Un titolo essenziale ma completo che va affrontato con un po’ di empatia verso l’esile protagonista per potersi immedesimare a fondo nella narrazione appena sussurrata e che probabilmente vi farà provare parecchie emozioni.