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Recensione Dynasty Warriors 9

di: Simone Cantini

In natura restare immobili rappresenta spesso la migliore e più intelligente forma di sopravvivenza. Congelare i muscoli, trattenendo il respiro, può indurre il predatore di turno a passare oltre, magari perché non più conscio della nostra presenza, oppure soltanto perché inermi non rappresenteremmo una simpatica forma di intrattenimento. Peccato che un simile sistema mal si adatti, invece, al rutilante mondo videoludico, quel limbo digitale in cui troppo spesso ripercorrere pedissequamente quanto già tracciato potrebbe condurre alla rovina. E chi meglio dei musou può incarnare questo rigido spirito, con la loro granitica volontà di riproporre ad libitum la solita sequenza da più di 20 anni? Solo che, finalmente, i ragazzi di Omega Force devono essersi accorti che l’assenza di movimento può condurre presto all’atrofia, ecco quindi che hanno visto bene di rivoluzionare quanto da loro inventato grazie a Dynasty Warriors 9.

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C’era una volta in Cina

Dite la verità, non ne avete mai abbastanza del Romanzo dei Tre Regni, vero? In fondo è sempre stato questo il substrato narrativo che, sin dal 1997, funge da epica cornice alle carneficine orchestrate dal team nipponico. E anche in Dynasty Warriors 9 il gruppo di programmatori ha visto bene di non distaccarsi da questo universo, presentandoci la solita (e prolissa) storia a base di tradimenti, cospirazioni ed assedi. Eroe principale della vicenda sarà Cao Cao che, nel secondo secolo d.C., si ritroverà a guerreggiare tra gli sconfinati scenari della Cina, su cui si staglia la minaccia dei Turbanti Gialli. Una narrativa corposa e a tratti complessa, in cui nomi e situazioni si accavallano veloci e che potremo vivere, una volta terminato il primo capitolo, attraverso molteplici punti di vista. In questo senso, difatti, il nono episodio del papà dei musou non tradisce le proprie origini, presentandoci un cast di personaggi giocabili (da sbloccare di volta in volta) semplicemente impressionante: parliamo, difatti, di circa 90 character distinti, ognuno legato ad una delle differenti fazioni e caratterizzato dal proprio stile di combattimento ed abilità speciali. Già questo può bastare per comprendere la smisurata portata della longevità complessiva di Dynasty Warriors 9. Ottenerli tutti e vivere ognuna delle varie storyline che li contraddistingue si configura come un’impresa dalle dimensioni titaniche, capace di garantire ore ed ore di gioco agli acquirenti. Ed ovviamente non manca un corposo catalogo di attività collaterali che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto beneficiare di quella che rappresenta (in teoria) la più grande innovazione che caratterizza il nuovo lavoro di Omega Force: l’open world.

Mondo vuoto

Magari sarà una feature oramai abusata nel panorama videoludico, ma l’inserimento di un mondo aperto all’interno delle rigide pareti dei musou rappresenta davvero un qualcosa di epocale, visto che va a scalzare la ventennale struttura costituita da mappe circoscritte, per quanto a volte discretamente estese. Sotto questo aspetto non c’è davvero niente che si possa dire di negativo nei confronti della scelta operata da Omega Force, soprattutto se si considera la ragguardevole estensione del mondo di gioco. Peccato, però, che ad una simile rivoluzione non siano stati affiancati tutti gli accorgimenti che, da sempre, rendono plausibile ed interessante un simile approccio: la Cina digitale qua riprodotta, difatti, è dannatamente vuota e la sua ampiezza non serve altro che a diluire in maniera talvolta insostenibile il ritmo di gioco. Il fascino di un open world è dato anche dagli stimoli che offre anche solo la semplice esplorazione, ma quando il vagabondare non serve altro che a farci imbattere in avamposti da liberare (o side quest tutte uguali) per mezzo del solito, ripetitivo gameplay, la voglia di gironzolare finisce molto presto. E poco importa che si possa pescare o andare a caccia di animali, attività che servono entrambe per racimolare i materiali richiesti dall’elementare crafting, visto che il tutto si basa su meccaniche grezze e a malapena abbozzate. Ecco, quindi, che non si può non applaudire la scelta di introdurre lo spostamento rapido (a patto di aver sbloccato i vari checkpoint), così da raggiungere in fretta il luogo delle missione di turno. Un’ottima idea, che finisce però per rendere futile e ridondante il decantato open world. E se consideriamo che le varie città differiscono unicamente per la disposizione dei vari mercanti, ecco che anche il fascino di approdare tra mura sconosciute finisca per venire ben presto meno.

Botte da orbi

La volontà di rinnovare il brand, comunque, non si esaurisce certo qua, visto che Dynasty Warriors 9 può anche fregiarsi di un rivisitato sistema di combattimento che, pur continuando a poggiare le proprie basi sull’alternanza della consueta triade attacco normale/pesante/speciale, si concede il lusso di movimentare un po’ le cose grazie all’introduzione di un moveset alternativo. Premendo il dorsale destro e combinandolo con i pulsanti frontali, difatti, sarà possibile dare vita ad un quartetto di nuovi attacchi, che si riveleranno essenziali durante gli scontri con boss e mid-boss. Niente di epocale, sia chiaro, ma data anche la possibilità di potenziare i vari colpi per mezzo di gemme che è possibile creare dai fabbri, è innegabile come il tutto acquisti un pizzico di benvenuta varietà. Peccato soltanto che un simile sistema finisca per sfogarsi contro i soliti manichini inermi, capaci unicamente di esaltare la spettacolarità degli scontri, ma che di sicuro non rappresentano una sfida degna di questo nome. L’unico momento in cui, in parte, il combat system trova un attimo di riposo è in occasione delle missioni stealth, anche se a causa della rozzezza delle meccaniche che le regolano finiscono per cadere nel calderone delle idee appena abbozzate, così come il rampino che ci permette di scalare mura di cinta e montagne.

Cosa vedono i miei occhi?

Seppur con alti e bassi, è innegabile come Dynasty Warriors 9 sia un prodotto nato sulle ali del rinnovamento, peccato che simili velleità non abbiano finito per contagiare anche il comparto tecnico che, anzi, sembra quasi aver compiuto un paio di decisi passi indietro. A partire dall’imbarazzante frame rate che, almeno su PS4 liscia, finisce per rendere scattose e traballanti anche le scene meno concitate. Una situazione resa ancor più incomprensibile dalla pochezza estetica offerta dal titolo Omega Force, funestata da animazioni mediocri, texture impresentabili nel 2018 (e streamate con un lentezza disarmante) ed una palette cromatica che conferisce al tutto un alone dimesso e scialbo. Come non citare, inoltre, il marcato pop up di elementi dello scenario e personaggi, capaci di sparire e comparire improvvisamente senza apparente motivo. Discreto, invece, il meteo dinamico e l’alternanza giorno/notte. A risollevare le sorti ci pensa l’audio, grazie ad alcuni brani metal in grado di sposarsi perfettamente con l’azione ed al triplice doppiaggio, disponibile in inglese, cinese e giapponese. E sì, per la prima volta non si può che gioire per la presenza dei sottotitoli in italiano, per quanto talvolta siano poco leggibili visto come tendono a confondersi con lo scenario. Meglio che niente, però…

Ci volevo credere ed ho voluto dare fiducia ad Omega Force, magari perché in fondo non disprezzo del tutto i musou (e anche perché Toukiden mi era piaciuto assai), ma è evidente come la buona volontà talvolta non possa bastare. Dynasty Warriors 9, difatti, si configura come un sentito e coraggioso simbolo della volontà di rinnovare e modernizzare un genere oramai stantio, ma che finisce per vedere le proprie ambizioni ridimensionate a causa di una realizzazione generale davvero mediocre. Si tratta, per certi versi, di un interessante anno zero per il genere, ma che necessita ancora di una corposa e sapiente lucidatura per poter risplendere senza aloni.