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Recensione Dying Light

Gli zombie tornano sulle nostre console con Dying Light, grazie ai ragazzi di Techland. In una città orientaleggiante, vestiamo i panni di Kyle Crane, e abbiamo una missione tanto importante quanto delicata. Ma i nemici a dir poco abbondano...
Leggete la recensione di Dying Light di Console-Tribe a cura di Giorgio “Nadim” Catania.

di: Giorgio "Nadim" Catania

Harran è spacciata. La sua popolazione si è trasformata in un’orda di famelici zombie. I sopravvissuti sono pochissimi, tutti rinchiusi in ripari di fortuna. Il governo sembra non voler fare altro che tenere chiunque in una quarantena mortale. E il solo che pare poter salvare la situazione è un certo Kyle Crane. È lui il protagonista di Dying Light, nuovo titolo post-apocalittico sviluppato dai talentuosi ragazzi di Techland.
Sappiate però che non tutto è oro ciò che luccica. E che Kyle è giunto in città di nascosto perché ha un compito specifico. Ovvero trovare un certo Rais, uomo pericoloso e instabile, e impedirgli di attuare un piano terribile, che potrebbe portare il mondo al collasso. Ma per fare ciò, Kyle dovrà compiere scelte difficili…

Escono dai f*****i tombini!

Che Techland sia esperta nel creare videogiochi sugli zombie è cosa risaputa. È a lei che si deve l’apprezzata ma controversa saga di Dead Island. Ed è a lei che adesso dobbiamo questo nuovo Dying Light, titolo che dall’appena citata serie eredita tantissimo.
Prima di tutto, specifichiamo qualche dettaglio. Dying Light è un’avventura in prima persona, in cui si deve correre per la vasta città di Harran accettando e portando a termine svariate missioni. Ma l’obiettivo principale è quello di sfuggire ai nostri amati mordicarne. Come? Sfruttando il parkour, ovvio!
Ecco quindi che la prima caratteristica del gioco balza subito all’occhio: in Dying Light si corre, salta e arrampica per gli edifici della ben poco ridente città con grande facilità, evitando così i morsi dei non-morti. Stare sui tetti quindi comporta una sicurezza che a terra manca. Ciò però non esclude la possibilità di scendere in strada e affrontare i nemici a suon di mazzate o, se li si ha, proiettili. Perché proprio come in Dead Island, anche in Dying Light le armi contundenti e bianche assumono un ruolo di primo piano, quelle da fuoco uno secondario. E possono essere potenziate tutte in svariati modi, rendendole sempre più micidiali. Ecco perciò tante mazze, tubi, asce e martelli con cui fare a pezzi gli zombie di turno, alternate a qualche pistola o fucile semiautomatico con cui eliminare i nemici più coriacei – soprattutto quelli umani, perché ci sono pure quelli.
Ogni eliminazione di un avversario, acrobazia o missione completata corrisponde ad una quantità di punti esperienze acquisiti. Ma gli EXP, essendo di tre tipi differenti, vanno ad accrescere tre tipi di alberi di abilità diversi. Con il passare delle ore si accede a mosse di battaglia, di agilità o di sopravvivenza nuove, capaci di rendere la vita più semplice e l’uccisione dei cadaveri ambulanti più divertente.
Questo modifica pesantemente il modo di approcciare l’avventura. All’inizio affrontare gli zombie con le poche risorse che si hanno risulta pericoloso, e con giusto qualche errore si cade sotto i loro colpi. Fuggire è la soluzione migliore, quindi. Poi però ci si impratichisce e si impara a combattere con astuzia, prediligendo talvolta mosse furbe alla mera forza. In questa fase bisogna perciò saper pianificare con rapidità e attaccare al momento opportuno. Nelle battute finali si hanno invece così tante armi, molte delle quali assai potenti, che permettono di fronteggiare le orde nemiche a testa bassa, rendendo ogni battaglia una vera carneficina.
Attenzione però, perché questo discorso vale solo per le sessioni di gioco ambientate di giorno. Quando in Dying Light cala la notte, tutto cambia: in città arrivano i notturni, zombie fortissimi, veloci e capaci di uccidere in pochi colpi, che cominciano a pattugliare le strade in uno stile che ricorda molto quello delle guardie di Metal Gear Solid. In queste circostanze bisogna muoversi il più furtivamente possibile, perché farsi individuare dai notturni scatena una caccia all’uomo senza precedenti, che può sfociare soltanto con una fuga disperata o una morte rapida. Per fortuna, eccezione fatta per qualche missione, non è necessario affrontare le ore notturne se non si vuole. Per portare avanti l’orologio si può raggiungere uno dei tanti rifugi sicuri, liberato in precedenza dai nemici, e riposare nel proprio letto. E in un attimo il sole torna a sorgere, portando con sé alcune certezze che le tenebre negano con crudeltà.

Senza scorte non si sopravvive

Missioni principali, liberazione dei rifugi e scampagnate in mezzo agli zombie non sono le uniche attività che si possono affrontare in Dying Light. Esistono infatti tante quest opzionali da portare a termine, alcune delle quali davvero ben caratterizzate e articolate. Non solo: ci sono anche sfide a tempo e di punteggio da completare, ricerche di collezionabili da mandare avanti, superstiti da salvare, predoni da mettere in fuga, rifornimenti lanciati da aerei da conquistare, risorse da raccogliere, oggetti da creare tramite un sistema di crafting semplice e immediato, aree opzionali da ripulire. Detto così magari questo può sembrare non poi così tanto, ma fare tutto richiede davvero parecchie ore. Decine di ore, in realtà.
Senza contare che la campagna principale è di per sé abbastanza lunga. Ed è arricchita da una trama cupa e d’atmosfera, forte di personaggi in grado di spiccare sulla massa. Nulla di particolarmente originale, ma la storia è zeppa di complotti e colpi di scena avvincenti, capaci di tenere sempre alta l’attenzione. Un plauso particolare va fatto al cattivo di turno, il già citato Rais, caratterizzato magistralmente. E degna di nota anche la fitta rete di missioni secondarie di cui si è parlato sopra, che in più di un’occasione va a incastrarsi alla perfezione con quella primaria – ma talvolta, specie nell’endgame, crea qualche paradosso. Insomma, un mosaico ricco e complesso.

Cartoline da Harran

Graficamente parlando, Dying Light mostra spesso i muscoli. Ma ogni tanto anche qualche punto debole, non crediate. Partiamo dai pro. Le ambientazioni sono a dir poco stupende. Ce ne sono due principali e grandi, più svariate minori e più piccole. Quelle maggiori sono cariche di dettagli, molto diverse tra loro e rivelano una doppia natura della città sorprendente, che comporta anche varietà al gameplay. Nella prima area sono premiate velocità e semplici acrobazie, nella seconda le arrampicate sugli edifici e i salti lunghi. Le zone minori invece comportano perlopiù combattimenti all’arma bianca e ricerca di oggetti specifici, ma sono ugualmente ben caratterizzate. La varietà di nemici rende inoltre i combattimenti vari, e costringe di volta in volta a studiare strategie atte a sopravvivere. Altrimenti tra zombie azzannatori, zombie corridori, giganti armati di mazza, zombie esplosivi e tanto altro, non si superano dieci metri di corsa. Il sangue e gli organi sparsi ovunque per fortuna non mancano mai.
Per contro troviamo dei personaggi secondari inespressivi, che sembrano marionette nelle mani di burattinai non molto capaci. E un costante pop-up di elementi dello scenario che all’inizio risulta un po’ fastidioso, ma a cui per fortuna si fa presto l’abitudine. Anche qualche texture carica più lentamente, di tanto in tanto, ma la pecca è compensata – o causata? – da caricamenti rari e veloci.
Ultimo, ma non meno importante, un comparto audio all’altezza. Effetti sonori magnifici e capaci di trasmettere ansia, un doppiaggio di qualità, musiche d’atmosfera e perfette per le location che si visitano.

Buona notte. Buona fortuna.

In Dead Island la cooperazione tra più giocatori era uno degli elementi cardine dell’esperienza di gioco. Anche in Dying Light è incentivata, ma affatto necessaria. La campagna principale forse la si gioca e la si gusta meglio in solitaria. Per la compagnia sono più adatti gli incarichi secondari, forse.
Ad ogni modo, che si giochi da soli o in gruppo, Dying Light offre un’esperienza a base di zombie davvero divertente e longeva. Immedesimarsi in Kyle non è affatto difficile, così come risulta normale affezionarsi agli altri personaggi principali, lottare per loro e soffrire con loro. E l’avventura intanto procede tranquilla, fino alle battute finali. Tra salti funambolici e combattimenti gladiatori. Tra nemici infetti e affamati e altri sani ma ancor più crudeli. Tra missioni adrenaliniche e altre intriganti. Tra giorni mai troppo lunghi e notti mai abbastanza corte. E ogni volta non rimane che sudarsi una nuova alba. Sperando che le ore di buio non siano la tomba di noi valorosi combattenti. E che gli zombie siano sempre un passo più lenti di noi.