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Recensione Darknet

di: Simone Cantini

Quando si parla di informatica, sia che si tratti di cinema, letteratura o videogame, la figura dell’hacker non può non essere presente. Mistificata e tratteggiata in maniera sempre estremamente superficiale, forte della capacità di violare i sistemi più impenetrabili semplicemente con la pressione di un tasto o, se penso al vetusto Giochi di Guerra, attraverso la mostruosa potenza di un C64, quella dei pirati del cyberspazio appare come un vita semplice e dall’inevitabile successo più che garantito. Per fortuna che ci pensa Darknet a rimettere sensibilmente in carreggiata questa percezione fasulla.

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Caught in a web

Relegato al rango di orpello marginale di produzioni ludicamente più consistenti, la fase di hacking è oramai una costante del media videoludico, ma grazie a Darknet questa oscura pratica diviene finalmente la protagonista attiva della scena. Noi, ovviamente, vestiremo (nel senso più stretto del termine) i panni di un hacker chiamato a volare una fitta rete di nodi informatici, con lo scopo di estrapolare preziose informazioni da girare ai nostri oscuri committenti ed incrementare il nostro portafoglio virtuale. Calando il tutto all’interno di una struttura puzzle, l’obiettivo di ciascun livello sarà quello di iniettare un virus all’interno del server. Una volta attivato, il nostro software andrà a colorare di viola la struttura a celle esagonali che va a costituire l’area di gioco: se riusciremo a raggiungere il nucleo senza che questa vada ad incrociare i nodi posti a protezione della rete avremo portato a casa il livello, altrimenti attiveremo l’antivirus che andrà rapidamente a debellare la minaccia. Ogni stage presenta molteplici punti attaccabili, spetterà dunque al nostro acume stabilire la strategia di conquista, scegliendo quali spot attivare e in quale ordine. Uno degli aspetti più riusciti di Darknet risiede nella molteplicità di approccio garantita da ciascun livello, ognuno dei quali non presenta un’unica soluzione possibile, ma offre sempre più di una possibilità di riuscita. Tale situazione è garantita dal poter ampliare il numero di cariche virus a nostra disposizione investendo il denaro guadagnato, oltre che dalla presenza di software accessori utili ad indebolire le difese dei server più complessi. Tale sistema influisce anche sul sistema di progressione, che sarà per forza di cose non strettamente lineare, oltre che sul livello di difficoltà percepito dal giocatore: questo sarà difatti determinato dal momento (e dall’equipaggiamento in nostro possesso) in cui decideremo di affrontare un dato livello. Andando avanti nel gioco, inoltre, sarà possibile investire i punti abilità guadagnati per sbloccare opzioni accessorie, utili a semplificare l’incedere e ad avere accesso ad un set di informazioni testuali che tratteggiano in maniera sintetica, ma ben costruita, l’universo in cui ci troveremo a giocare. Si tratta di piccole chicche che non stravolgono di certo il gameplay di Darknet (più semplice da padroneggiare che da descrivere), ma che conferiscono al titolo quel pizzico di personalità che non guasta mai.

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Fatti più in là

Magari l’impianto scenico di Darknet non rappresenterà in pieno la mia personale visione del mondo dell’hacking, che mi figuro sempre come simile agli schermi touch visti in Minority Report, ma riesce comunque a tratteggiare in maniera credibile una complessa rete di dati. Piacevole, pur non essendo un banco di prova probante per il PlayStation VR, la grafica della produzione Archiact può vantare un gradevole set di effetti utili a garantire una certa profondità all’immagine. Peccato che il software accusi in maniera molto pesante eventuali problemi di tracking del visore, fattore che porta spesso a fastidiosi disallineamenti della camera, a cui non giova un tedioso sistema di rotazione a spicchi di 45° utilizzabile attraverso lo stick analogico.

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Non sarà certo lo showcase più efficace per il PlayStation VR, ciononostante Darknet si è rivelato un divertente puzzle game da abbinare al visore Sony. Il gameplay semplice, ma dotato di una sua certa stratificazione, a cui fa da corollario la presenza di molteplici strade risolutive, rendono il titolo Archiact un passatempo piacevole ed indovinato.