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Recensione Bloodstained: Ritual of the Night

di: Simone Cantini

Posso dire una cosa senza dover avere addosso il timore di essere assalito per le mie radicate convinzioni? Posso? Sicuri? Ok, lo dico: Symphony of the Night è uno dei giochi più belli di tutti i tempi. Ecco, l’ho detto. E visto il clamoroso successo della campagna Kickstarter di cui è stato protagonista Bloodstained: Ritual of the Night, penso di essere in buona compagnia in quanto a gusti. Sì, perché questo sequel spirituale di una delle più alte vette dei Castlevania made in Igarashi, è riuscito a superare con estrema rapidità il budget richiesto, visto l’affetto che i fan di tutto il globo hanno ancora nei confronti di questa saga che Konami ha colpevolmente, assieme a molte (troppe) altre, messo alla porta. È vero, il nuovo lavoro di IGA si è fatto attendere un po’ troppo rispetto alla tabella di marcia fissata, ma ne sarà valsa la pena?

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C’era un castello con 40 vampiri

La storia di Bloodstained: Ritual of the Night si svolge agli albori del diciannovesimo secolo, e ci vedrà calati nei panni di Miriam, un’orfana sottoposta a degli oscuri rituali alchemici volti a scongiurare la più classica delle minacce demoniache. Le pratiche arcane di cui è stata oggetto in passato, invece di ucciderla come avvenuto agli altri suoi compagni di sventura, l’ha resa una Shardbinder, ovvero una persona in grado di assorbire i frammenti delle anime dei demoni, ritornati sulla Terra in seguito alla comparsa di un sinistro castello (ma guarda un po’!). Responsabile di questa ennesima minaccia è Gebel, anche lui uno Shardbinder sopravvissuto al rito alchemico, un misterioso individuo che per certi aspetti non può che ricordare l’amato Alucard. Toccherà, nemmeno a dirlo, alla nostra Miriam salpare alla volta del tetro maniero, che diventerà il teatro di un corposo metroidvania in perfetto stile Castlevania. Igarashi ed il suo team, difatti, non si sono risparmiati di ricordare in ogni aspetto le origini volutamente derivative di Bloodstained: Ritual of the Night, che non evita di palesare con orgoglio le proprie origini con ogni mezzo, sia esso il reskin di uno dei mostri più celebri del franchise, sia uno stage particolare (perché ogni castello ha una torre dell’orologio?), sia la struttura stessa della mappa di gioco. Basterà muovere i primi passi all’interno dell’imbarcazione che funge da introduzione, per far sentire gli aficionados a casa, complice anche una struttura ludica che riprende in toto l’esperienza classica della serie Konami. Questo retaggio è evidente nello stesso moveset di Miriam, così come nei vari item che potrà equipaggiare che, tra armi ed oggetti dalle caratteristiche belliche più disparate, avranno nei citati frammenti demoniaci uno degli elementi cardine del gameplay, per quanto non propriamente originale anche esso. Tale meccanica di assorbimento, difatti, era già stata introdotta nei due capitoli per handheld Nintendo (Aria e Dawn of Sorrow), e ci garantirà la possibilità di equipaggiare fino a 5 differenti poteri alla volta, suddivisi in attivi e passivi. Ciascuna creatura che incontreremo potrà, quindi, droppare un potere unico, permettendo una personalizzazione del personaggio estremamente marcata, ed andando così ad ampliare l’aspetto più ruolistico della produzione. Non mancheranno, inoltre, frammenti indispensabili per proseguire nell’avventura, ovviamente elargitici dai vari boss presenti nel gioco, che ritorneranno utili anche per completare al 100% l’esplorazione della gigantesca mappa di gioco. A completare il cerchio delle possibilità, stavolta in modo inedito per la serie, ci penserà un nutrito set di missioni secondare, che ci verranno assegnate dai vari NPC che incontreremo, utili più che altro a stimolare il backtracking e a racimolare equipaggiamenti e materiali per il crafting, piuttosto che ad ampliare le velleità ludiche di Bloodstained: Ritual of the Night.

Tira più un pelo di IGA…

Insomma, è evidente come l’ossatura del nuovo lavoro di Igarashi si impegni a fondo per non discostarsi dalla produzione più iconica del designer nipponico, facendo di tutto per venire incontro alle richieste dei fan che, da tempo, aspettavano un ritorno in pompa magna di un Castlevania degno di tale nome. Però, come in tutte le storie travagliate, il rischio che non tutto possa andare per il verso giusto è sempre presente, e Bloodstained: Ritual of the Night purtroppo non sfugge a questa regola. Ci tengo a precisare subito di come i difetti che ho riscontrato non minino affatto la bontà di fondo del lavoro di IGA, ma dopo la mole di aspettative che il tutto si portava dietro, era lecito aspettarsi il guizzo in più, capace di rendere il degno omaggio al titolo che tBloodstained: Ritual of the Night era chiamato a ricordare. La prima incertezza che mi è saltata agli occhi già dopo pochi minuti di gioco, è stata l’eccessiva legnosità di Miriam, complici anche dei controlli non sempre reattivi alla perfezione (elemento fastidioso nelle fasi platform ed in alcuni scontri con i boss). A ciò si va ad aggiungere una lentezza del suo incedere invero un po’ troppo marcata, al punto che ho sin da subito benedetto i vari portali di teletrasporto presenti nella mappa. Anche su questi, però, oltre che sulla disposizione di alcuni punti di salvataggio, mi permetto di avere qualche perplessità in merito al loro posizione, non sempre felicissima ed intelligente: mi è capitato un paio di volte di superare un boss con pochissima energia residua e zero pozioni, trovandomi al contempo ad una distanza ragguardevole da un punto di ristoro, ovviamente circondato da creature ansiose di far comparire la scritta Game Over. Lo stesso bestiario, inoltre, non brilla per originalità e cura, così come lo stile generale, capace di alternare stage ispirati e curati ad altri decisamente scialbi e smaccatamente sotto tono. Anche il design generale della mappa di gioco non stupisce più di tanto per complessità, attestandosi su di una media dignitosa, ma non certo in grado di ambire a vette ben più elevate. Ci tengo comunque a ribadire ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, che simili criticità emergono più per il paragone scomodo con il citato Symphony of the Night piuttosto che per mancanze epocali di Bloodstained: Ritual of the Night, ma ritengo comunque doveroso essere così critici quando si ha l’ardire di confrontarsi con un peso massimo di questo calibro. Laddove la produzione non sfigura è nell’accompagnamento sonoro che, per quanto privo dei motivi radicati nella nostra memoria, riesce ad inserirsi con una propria dignità all’interno del corredo della saga Konami. Il che non è poco. Prima di chiudere è doveroso segnalare come il gioco sia comunque destinato a crescere con il tempo, vista la presenza di 13 DLC gratuiti, garantiti dal successo della campagna Kickstarter, che andranno ad ampliare le modalità di gioco, ad ora ferme alla campagna principale (con 3 distinti livelli di difficoltà), e ad una boss rush mode.

 

Bloodstained: Ritual of the Night ha scelto consapevolmente di addentrarsi in un terreno sin troppo insidioso, finendo per rimanere impantanato più di una volta prima di raggiungere, comunque, il meritato traguardo. Igarashi e soci sono riusciti nell’ardua impresa di confezionare un metroidvania solido e convincente, ma che non può fare a meno di confrontarsi invano con un passato decisamente troppo ingombrante. Tutto è messo al posto giusto e funziona, seppur senza picchi qualitativi evidenti, oltre che minato da un set di controlli a volta un po’ troppo impacciati per soddisfare senza riserve il giocatore. Ovviamente se siete orfani di Castlevania ed attendete da tempo il ritorno sulle scene di Koji Igarashi, Bloodstained: Ritual of the Night saprà soddisfare i vostri desideri, pur lasciandovi addosso la consapevolezza che, ahinoi, pare non esserci più spazio per un passato che facciamo fatica a lasciarci alle spalle.