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Recensione Ashen

di: Simone Cantini

Si può essere delle semplici comparse sullo sconfinato palcoscenico videoludico, oppure i veri e propri mattatori dello show, capaci di catalizzare su di noi l’attenzione della vasta platea adorante. Eppure, come ci insegna la storia, non di soli primi attori sono ricolmi i ricordi, la cui grandezza è stata spesse volte resa tale dalla presenza di validi ed intriganti caratteristi. Ed il mondo dei soulslike può essere simbolicamente visto nel medesimo modo, con i lavori di From Software a tenere banco, alle cui spalle si sono però andati ad affiancare numerosi comprimari, talvolta dal talento cristallino, altre dalle capacità non proprio memorabili. Ed in questa schiera di seconde linee, quale posto andrà ad occupare Ashen?

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Tra luce ed ombre

I ragazzi di Aurora44, lo studio neozelandese responsabile di Ashen, sembrano aver metabolizzato a dovere la lezione impartita in questi anni dai Hidetaka Miyazaki, come dimostra ampiamente il filmato che ci introduce questa loro personale versione del genere: l’ombra è caduta sul mondo tratteggiato dal team, in seguito alla scomparsa del divino volatile dai cui prende il nome il gioco, e noi incarniamo l’ultima speranza in grado di riportare l’ordine, a patto di sconfiggere le creature responsabili del caos. L’originalità narrativa non è certo di casa in Ashen, sia per quanto riguarda le tematiche che per la regia vera e propria di questo incipit, ma bisogna dire che la produzione Aurora44 evita di perdersi in inutili e spesso stucchevoli cripticità, intavolando una storia sempre comprensibile e priva elementi lasciati volutamente all’interpretazione del player. Se è vero che questo potrebbe già rappresentare un punto a sfavore per tutti coloro che hanno elevato a loro personale divinità il buon Miyazaki, per il sottoscritto il tutto non ha necessariamente finito per essere un male, anzi, almeno per una volta non mi è dispiaciuto limitarmi a seguire i dialoghi tra noi e i numerosi NPC, lasciando sul comodino il bisogno di decifrare il detto ed il non detto. La trama, quindi, scorre agile e svelta, con soltanto un colpo di scena piazzato sul finale, riuscendo a tratteggiare un mondo ed un cast di personaggi tutto sommato convincenti, anche se privi della grandiosità e decadenza a cui i Souls ci hanno abituato negli anni.

Soulsike for dummies

I punti di contatto più forti con i lavori From Software, comunque, sono giocoforza da ritrovare nel gameplay vero e proprio di Ashen, che potremmo senza indugi definire come una versione più snella e semplice di quello tipico dei soulslike. Questa riduzione ai minimi termini del genere è evidente sin dalle battute iniziali, una volta superato l’essenziale editor del personaggio, non appena ci rendiamo conto che non è possibile dare vita a build specifiche: tutto si baserà sulla barra della vita e su quella della resistenza, il cui valore potrà essere incrementato semplicemente portando a termine le varie missioni di gioco (sia principali che secondarie), lasciando alle Scorie (le anime di Ashen) il ruolo di elemento utile ad upgradare il nostro essenziale equipaggiamento. Questo è composto unicamente da due tipologie di armi, ad una e due mani, invero non molto differenti tra loro per quanto concerne moveset ed impiego, le quali potranno contare sulla canonica accoppiata di attacco normale e pesante. Inoltre, nonostante sia possibile reperire nel corso dell’avventura nuovi strumenti di offesa, ho constatato che tra di loro le differenze sono pressoché nulle, al punto che ho portato a termine il gioco con gli equip base potenziati al massimo: insomma, lootare in giro per la mappa risulterà alquanto inutile. A completare un quadro di per sé alquanto scarno ci pensano però i quattro talismani che potremo equipaggiare, questi sì da reperire nel gioco, ognuno dei quali ci garantirà delle peculiari abilità passive. A chiudere il cerchio arrivano i Cimeli, particolari oggetti droppati dai vari boss (un po’ pochini in verità), capaci di garantire ulteriori bonus. Niente magie o quanto altro, dunque, ma soltanto scontri all’arma bianca, sorretti da un combat system quanto mai basico ed essenziale, non certo perfetto in tutte le sue sfumature, ma comunque godibile e divertente, anche se la mancanza di alcune chicche presenti nei fratelli maggiori sono chiaramente avvertibili da tutti i fan del genere.

A spasso per il mondo

Differente, invece, è l’approccio al mondo di Ashen, in cui gli spazi ampi la faranno da padrone, con un manciata scarsa di dungeon alquanto ostici che serviranno da apripista per gli scontri con i boss. Il modo in cui il level design è stato sviluppato, pur con qualche ingenuità di troppo, rappresenta comunque uno dei punti di forza del gioco, proprio grazie alla maggiore libertà concessa in fase di esplorazione, elemento che rende talvolta indispensabile l’utilizzo della mappa delle varie aree, richiamabile in qualsiasi momento (una vera rarità per un soulslike, che ho finito per apprezzare notevolmente). Peccato per un respawn continuo dei nemici, situazione che rende talvolta frustrante il semplice girare per le aree che credevamo sgombre di minacce. A latitare in parte è invece l’ispirazione generale, capace di alternare situazioni personali ed azzeccate ad altre che sin troppo spesso finiscono per sfociare nell’omaggio (o plagio?) più plateale: vi sfido a non riconoscere quel particolare ponte, oppure quel set di passerelle immerse nell’oscurità. Non mancano, comunque scorci e situazioni degne di nota, come quelle che segnano l’arrivo nei pressi del palazzo di Lathyrus, capaci di stuzzicare anche coloro che ne hanno davvero viste di tutti i colori. Laddove il team ci ha messo del proprio è nella gestione dell’hub principale, ovvero un villaggio che vedremo crescere e svilupparsi sotto i nostri occhi man mano che sarà popolato dagli NPC incontrati, e presso il quale sarà possibile accedere ai vari upgrade. Interessante anche il multiplayer, che ci accoppierà automaticamente ad un altro utente che si trovi a percorrere i nostri stessi passi, senza che si debba fare alcunché. Sfruttando un codice, inoltre, potremo invitare un amico, ma il modo in cui questo sistema è regolato è alquanto fumoso e nelle mie prove non sono mai riuscito a convocare il buon Quetzalcoatl. Qualora non ci fosse nessuno, il titolo ci affiancherà un compagno gestito dall’IA, oppure se siamo tipi solitari potremo semplicemente escludere ogni forma di cooperazione, anche se il tutto è alquanto sconsigliato visto che Ashen è smaccatamente nato con in mente la fruizione assieme ad un altro player. Questo elemento va ad impattare su quella che è la difficoltà media del gioco che, salvo i citati dungeon, si attesta su livelli alquanto abbordabili, lontani dalle sadiche vette degli esponenti storici del genere, ma siamo comunque lontani dal poter ritenere il titolo Aurora44 una passeggiata di salute. Stilisticamente parlando, per ovvi motivi di budget, Ashen ha scelto una strada quanto mai originale per il genere, adottando una grafica per certi aspetto low poly, capace di richiamare alla mente alcuni elementi di Journey. Bisogna comunque dire che, pur con qualche criticità, il quadro d’insieme funziona egregiamente e riesce a portare una ventata di novità all’interno dei soulslike. Altalenanti sono invece le performance generali, con qualche sporadico scatto (niente comunque in confronto ai disastrosi Souls) e qualche improvviso crash di troppo, ma si tratta di lievi criticità neppure lontanamente paragonabile all’orrore della Città Infame originale.

Se avete sempre voluto avvicinarvi ad un soulslike, ma non avete mai avuto il coraggio di farlo, Ashen potrebbe essere senza ombra di dubbio il titolo in grado di esaudire questo sogno proibito. Grazie ad una curva della difficoltà alquanto morbida e permissiva, unita ad un gameplay molto più snello delle altre produzioni, il titolo Aurora44 saprà prendervi per mano e condurvi all’interno di questo intrigante sottogenere. È pero innegabile come questo rappresenti anche il suo limite più grande, visto il modo alquanto blando con cui si rapporta alle vette espressive made in From Software, ed è proprio alla luce di simili lavori che Ashen finisce per perdere palesemente parte del suo smalto, mostrandosi per l’onesto buon gioco quale è e nulla più. I fan storici, difatti, storceranno di sicuro la bocca al cospetto di una longevità non certo stellare (sono arrivato al termine in poco più di 15 ore, side quest comprese), a cui si accompagna un prezzo di vendita non certo concorrenziale, ma che può essere mitigato grazie alla presenza all’interno del Game Pass. In definitiva, se volete ingannare l’attesa che ci separa da Sekiro, Ashen sarà comunque in grado di intrattenere con leggerezza i soulsliker più incalliti, ma di sicuro coloro che sapranno apprezzare maggiormente il lavoro dei ragazzi di Aurora44 saranno i novellini, per i quali potrebbero aprirsi le porte di un mondo oscuro e seducente.