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Black Hammer – Umanizzazione di un supereroe

di: Simone "PulpGuy88" Bravi

Quando si parla di fumetti non si può fare a meno di parlare di autori di fumetti.

Certe volte l’influenza della personalità dell’autore, il suo retaggio e spesso anche le proprie esperienze personali di vita vengono in superficie più di quanto dovrebbero all’interno delle storie che scrive e disegna. E non c’è nulla di male in questo, soprattutto se poi quelle storie, da quelle esperienze di vita, “imparano” come fossero esseri senzienti. Ne acquisiscono gioie, dolori, delusioni, pulsioni e turbamenti e trasformano tutte queste sensazioni in spessore narrativo. Jeff Lemire è questo ragazzone canadese di quasi 42 anni che praticamente vive di fumetti. Li mangia, li respira e, come lui stesso dichiara, ne fa la sua ragione di vita, tanto da pensare al suo lavoro 24 ore al giorno, 7 giorni su 7.

La sua ultima fatica è il fumetto di cui vogliamo parlarvi oggi: Black Hammer. Una storia sui supereroi, ancora. Quell’ancora però non potrebbe essere più superfluo, perchè Black Hammer esula dal semplice concetto di racconto superoistico, dove un gruppo di personaggi dai poteri bizzarri e dai costumi sgargianti si azzuffano per riportare la pace nel mondo, fino al prossimo scontro con l’ennesimo super-cattivo di turno. Questa è sì la storia di un gruppo di supereroi, nello specifico Abraham Slam, il Colonnello Weird, Madame Dragonfly, Barbalien, Talky-Walky e Golden Gale. Ognuno con un’abilità particolare, ognuno con un dramma personale alle spalle ma tutti accomunati da un infausto destino: durante lo scontro decisivo con quello che ci viene presentato come il principale antagonista del loro passato, l’anti-Dio, il gruppo è stato sbalzato in un’altra dimensione, forse in un altro universo (il nostro), ritrovandosi sbalzato da Spiral City ad una fattoria di un paesino degli Stati Uniti, senza la benchè minima idea su come tornare a casa. Ma la domanda che tormenta ognuno di loro, pagina dopo pagina, è se c’è davvero una casa verso cui tornare e, se sì, cosa ci sarebbe ad aspettarli?

I fumetti sui supereroi sono stati da sempre caratterizzati dall’eterno conflitto interiore dei protagonisti, afflitti dai dilemmi del “diverso”, costantemente alla ricerca dell’accettazione (di loro stessi e del contesto in cui si muovono), magari anche di un qualche tipo di redenzione o comunque del’integrazione in un contesto sociale che, di base, li considererebbe una minaccia (perseguitandoli), una manna (caricandoli di responsabilità spesso più grandi dei loro poteri) o perfino dei fenomeni da baraccone. Lemire, in questo caso, sceglie una strada diversa, se vogliamo anche “nuova” per il modo in cui sceglie di raccontare la storia di questi personaggi. Ognuno di loro infatti, è tormentato dall’idea di non poter tornare verso Spiral City e soprattutto dal “fantasma” di Black Hammer, questo supereroe che (e viene raccontato in maniera molto criptica) si è sacrificato per la loro salvezza. Ma trovandosi a vivere in un contesto “umano”, i nostri eroi vedono piombare sulle loro spalle i dilemmi, le insicurezze, le paure e i sentimenti che caratterizzano i normali esseri umani. Ed è in questo modo che, travestita da storia di supereroi, la storia di Black Hammer mette in scena una sorta di saggio di sociologia, arrivando anche a toccare temi scottanti (che tuttavia nel fumetto sono stati ampiamente sdoganati, per fortuna) come l’omosessualità (che qui, comunque, viene vista dal punto di vista di un alieno in grado di assumere sembianze umane e che si trova a vivere questa pulsione senza capire bene da dove derivi, come un normale adolescente che comincia a scoprire la propria sessualità).

La narrazione di Lemire trasuda maturità e passione per il fumetto da tutti i pori. L’autore, forte della sua decennale esperienza in Marvel e DC, si diverte a infarcire il racconto di riferimenti dai due celebri universi tematici…e non solo. Ecco quindi che le origini di Abrahm Slam strizzano abbastanza spudoratamente l’occhio a quelle di Capitan America, che l’aspetto e la natura dell’anti-Dio ricordano fortemente quelli di Thanos, che la storia di Madame Butterfly sembra uscita da una storia di Mike Mignola e così via. Attraverso continue digressioni temporali, Lemire snocciola le storie dei protagonisti, contestualizzando la loro situazione psicologica del presente e conferendo ad ognuno una personalità ben definita sin dai primi volumi (Nello specifico l’edizione italiana a cura di BAO Publishing comprende i primi sei numeri nel volume N. 1). E al talento narrativo dell’autore canadese si uniscono le abilità visionarie di due colossi del fumetto internazionale: Dave Stewart e Dean Ormston, che conferiscono all’opera una potenza (anche visiva) che raramente ci è capitato di vedere in altre pubblicazioni del genere, negli ultimi anni.

Dopo questa, speriamo non troppo lunga, disamina, pensiamo si sia capito che il valore di Black Hammer è quello di un’opera che rischia seriamente di ridefinire i canoni del fumetto moderno, forse anche di rivoluzionarli. Sbilanciandoci tirando in ballo paragoni piuttosto scomodi, ci sentiamo di poter dire che l’impatto dell’opera di Lemire sul genere superoistico potrebbe ricordare molto da vicino quello che ebbe Alan Moore con Watchmen a fine anni ’80 o ancora quello avuto da Frank Miller con le sue rush di Devil e Il cavaliere oscuro se parliamo di Marvel e DC Comics. Nel momento in cui scriviamo queste righe potrete trovare nelle librerie e fumetterie di tutta italia il secondo volume (che comprende le successive 6 uscite della versione americana), sempre edito da BAO Publishing.

Il nostro consiglio è quello di recuperarli entrambi, perchè potreste ritrovarvi a stringere tra le mani un pezzo di storia del fumetto. Ma questo potrà dircelo solo il tempo.