Intervista

Quattro chiacchiere con… Cory Barlog

di: Simone Cantini

L’evento milanese con protagonista il nuovo God of War, oltre a consentirci di prendere confidenza con il rinnovato Kratos, ci ha permesso di scambiare quattro chiacchiere con Cory Barlog che, nonostante l’ora tarda, si è gentilmente concesso per rispondere a qualche domanda relativa al suo nuovo lavoro.

CT: Chi tra i due personaggi principali dell’avventura, Kratos ed Atreus, subisce l’evoluzione più marcata durante il gioco?

CB: Il cambiamento di entrambi va a costituire una parte importante dell’esperienza ed avviene in maniera graduale. Ce ne siamo accorti già durante la fasi di playtesting, osservando le reazioni dei vari giocatori. Ce ne erano alcuni che non avevano mai amato, ad esempio, il personaggio di Kratos e per questo si erano tenuti lontani dalla serie. E ci hanno evidenziato apertamente questo loro sentimento! Però, con il passare dei giorni, hanno finito per affezionarsi al personaggio, a stabilire una sorta di legame empatico, arrivando perfino a complimentarsi con noi per il lavoro svolto in fase di caratterizzazione. Possiamo quindi vedere i personaggi come armi che migliorano con il tempo, quasi come fossero oggetto di un costante upgrade. Ed è un concetto che possiamo applicare sia a Kratos che ad Atreus, viste le drammatiche situazioni che si troveranno a vivere in prima persona.

CT: Quanto delle tua esperienza personale di padre è presente all’interno della rapporto tra Kratos ed Atreus?

CB: È stato praticamente impossibile evitare di contaminare la narrazione con alcune esperienze personali. Così come Kratos tende a controllare la propria rabbia, evitando che il figlio finisca per diventare come lui, anche io cerco di fare in modo che il carattere di mio figlio sia quanto di più lontano possibile ci sia dal mio essere ossessivo. Purtroppo non sempre succede e la cosa mi far stare male (ride), ma così è la vita. È comunque innegabile come molte delle mie esperienze di vita vissuta siano confluite nel gioco, al punto che non sono state rare le occasioni in cui mi sono ritrovato a piangere, mentre provavo per l’ennesima volta il gioco nel mio ufficio, perchè rivedevo in quello che succedeva sullo schermo alcune situazioni che avevo vissuto in prima persona. Lo stesso discorso, comunque, può essere esteso a tutti i membri del team che hanno contribuito alla realizzazione di God of War, anche a coloro che non hanno famiglia, ma che hanno messo sul piatto i loro ricordi di figli.

CT: Dato che il gioco appare sostanzialmente differente dai precedenti episodi della serie, perchè avete optato per proseguire la storia di Kratos, invece di sviluppare una nuova IP?

CB: Beh, devo confessare che nelle fasi iniziali della produzione era comparsa l’idea di sviluppare un qualcosa di completamente nuovo e lasciarsi alle spalle Kratos, anche in virtù del suo essere una sorta di antieroe, condizione che non lo rendeva proprio amato da tutti. È qua, però, che è scesa in campo quella che potrei definire la mia autorità, anche se in realtà non si è trattata di una brutale e semplice presa di posizione. I motivi che mi hanno spinto a voler continuare la storia di Kratos sono da ritrovare nella mia volontà di mettermi alla prova come scrittore, e vedere così in quale modo potessi proseguire lo sviluppo di questo personaggio così controverso. L’esempio che faccio spesso, in questo senso, è Kingpin: all’inizio delle avventure di Daredevil odiavo questo individuo, però più andavano avanti le storie e più il suo sviluppo ha finito per coinvolgermi positivamente, al punto da renderlo uno dei miei punti fermi del fumetto, visto il modo in cui si è evoluta a sua figura. Ed è proprio pensando ed ispirandomi a questo modello che ho deciso di voler proseguire il mio lavoro su Kratos.

CT: Quello che abbiamo visto nella demo si differenzia in maniera molto evidente dai precedenti episodi della serie, al punto che viene spontaneo chiedersi dove siano andati a finire tutti i riferimenti mitologici che sin dal principio hanno caratterizzato le avventure di Kratos. Dobbiamo aspettarci un radicale cambio di prospettiva?

CB: Vorrei tanto rispondere in maniera diretta, ma rischierei di spoilerare tutto in maniera molto pesante (ride). Diciamo che si tratta di una scelta voluta, quasi come se quello che avviene nelle primissime ore di gioco fosse una sorta di introduzione a questa nostra nuova visione. Tutto si dipana in maniera più intima e circoscritta, accompagnando poco alla volta il giocatore all’interno di questo inedito frammento della storia di Kratos. Man mano che andremo avanti ogni cosa verrà ovviamente ampliata, sia narrativamente che a livello di puro gameplay: penso, ad esempio, al crafting, una feature che non sarà inizialmente disponibile, ma solo in seguito all’incontro con Brock. Posso comunque rassicurarvi in merito alla natura di questo nuovo arco narrativo che, seppur in maniera più graduale, non si limiterà a trattare ogni aspetto soltanto da un punto di vista prettamente e semplicemente umano.

CT: Dopo tutti gli anni passati lontano dai Santa Monica, come è stato ritornare all’interno del team e seguire in primissima persona, dall’inizio alla fine, lo sviluppo di questo nuovo progetto? E quali sono stati i tuoi obiettivi, soprattutto sapendo quanto la gente ha apprezzato il tuo lavoro compiuto con God of War II?

CB: Innanzitutto ho sentito addosso moltissima pressione (ride)! Anche perchè ero consapevole di quanto la gente avesse amato God of War II, e la cosa mi rendeva lusingato ed orgoglioso. Per quanto si tratti, comunque, di due prodotti sostanzialmente differenti tra di loro, devo riconoscere di aver ritrovato alcuni punti di contatto, seppur questi siano nati in maniera quasi inconsapevole. Quando ci siamo messi al lavoro sul secondo capitolo delle avventure di Kratos, l’obiettivo è stato quello di rendere il gioco “bigger and better”, cercando di ampliare e migliorare quanto già fatto in precedenza. E nonostante il nuovo God of War rappresenti un qualcosa di diverso, mi sono stupito quando ho realizzato che il gioco aveva finito per espandersi così tanto da toccare le oltre 20 ore di durata. Parlando schiettamente ho solo cercato di fare del mio meglio, sia per non deludere le ovvie aspettative di chi aveva investito su di noi, sia per fare in modo che chiunque porti a termine il gioco possa identificarlo come il mio miglior lavoro di sempre. Tutto qua.

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