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Final Fantasy XI e il panorama MMORPG

Internet: un mondo oramai massificato e globalizzato in cui la ricerca di un avvicinamento sociale e' sempre piu' forte. Tale fenomeno non poteva non toccare l'universo dei giochi, sia per PC, dove e' nato il game cooperativo o competitivo oltre ogni barriera territoriale, sia su console in tempi recenti. Dai multiplayer a schermo condiviso siamo passati alle battaglie e alle campagne in rete, in cui gruppi di persone si scontrano e si aiutano per raggiungere gloria e onore virtuali. Ma in realta' il genere principe che fa dell'incontro fra persone, culture e societa' diverse il loro punto cardine spetta agli MMORPG (Massive Multiplayer Online Role-Playing Game).

di: Claudio "Evil_Sephiroth" Perfler

Sulla base del successo commerciale potremo con cognizione di causa affermare che “World of Warcraft” è il titolo che ha meglio interpretato l’idea base degli MMORPG, tanto da essere sempre menzionato dalle riviste specializzate quando si parla di tale genere.
In realtà dire questo non è corretto, difatti molti altri titoli hanno una componente “massive” e di socializzazione estremamente più ampia ed un gameplay che rende di gran lunga più facile rapportarsi con gli altri giocatori.

Prima di eleggere il gioco che incarna nel miglior modo possibile l’idea base degli MMORPG, dobbiamo però soffermarci e presentare i titoli che spessissimo vengono citati quali portabandiera di tale idea di gioco.

Non possiamo quindi non menzionare Guild Wars, ultimamente salito agli onori della cronaca sia per la validità del reparto tecnico che per la fruibilità online gratuita.
GW ha però veramente poco del “massive”: la scelta di avere aree private è stata a dir poco azzardata nel contesto MMO, rendendo spesso l’esperienza di gioco eccessivamente solitaria o limitata alle persone appartenenti al proprio party.
La stessa struttura del titolo, focalizzato quasi esclusivamente sul pvp (player vs player), di fatto rende la socializzazione nelle aree comuni legata soltanto alla propria gilda.
In aggiunta a tali “pecche” il gameplay del titolo è incredibilmente rapido e giocato sui decimi di secondo necessari ad usare abilità e poteri; se tale rapidità crea un coinvolgimento ed un’enfasi altissima, di contro rende la comunicazione via chat (l’unica effettivamente utilizzabile con persone non conosciute o straniere) praticamente impossibile: se proverete infatti a scrivere una frase durante una missione, alla pressione del tasto invio avrete perso di vista il vostro gruppo.
Alcuni siti addirittura non lo considerano, a ragion veduta, un massive multiplayer, ma un “cooperative competitive online rpg”.
E’ quindi possibile senza ombra di dubbio affermare che, a dispetto del successo commerciale, GW abbia fallito o dato poca considerazione al fattore socializzazione.

Lo stesso gameplay frenetico lo ritroviamo in altri titoli famosissimi, come Ragnarok Online e World of Warcraft: se per il primo la vera fortuna e l’incredibile numero di giocatori è dovuto in larga parte ai server privati che sono spuntati un po’ ovunque e che di fatto hanno superato gli ufficiali, per WOW il successo è nato dall’incredibile comunità di fedeli che gli ruota attorno e che seguono la saga fin dai primi capitoli strategici.
Non vogliamo chiaramente limitare la ragione di questi capolavori a “piccolezze” del genere, ma analizzando nel profondo la struttura di tali titoli, si nota per Ragnarok un gameplay banale e semplicissimo, incentrato totalmente sull’uccidere nemici in solitaria o con persone per lo più sconosciute.
Il discorso per il titolo Blizzard è invece più complesso: aree comuni, grande community e dinamiche di gruppo ben studiate e adatte alla cooperazione; si potrebbe parlare di perfezione, ma il problema di WOW è proprio la community, aggressiva, territoriale e veramente presa dal gioco, al punto da considerare tradimenti le partite di suoi membri con persone esterne alle gilde di appartenenza.
Warcraft viene vissuto dall’ingente numero di partecipanti come un lavoro, con vere e proprie punizioni e gogne per chi ingenuamente pensa di socializzare con non affiliati al proprio gruppo.
Viene vissuto come un garantire il progresso e l’onore alla gilda e tutto ciò porta di fatto a gruppi chiusi e all’impossibilità di avere contatti con persone nuove e sconosciute.